di ALBERTO BRUZZONE
Muove un altro passo avanti il mastodontico e assai impattante progetto della cosiddetta ‘diga Perfigli’, ovvero quelle opere di protezione della sponda lavagnese e chiavarese del fiume Entella, in prossimità della foce, contro cui i cittadini, in particolare quelli che operano sulla piana adiacente al corso d’acqua, sono in lotta da anni, avendo proposto e continuando a proporre tutta una serie di soluzioni alternative.
È un progetto che, a parole, non vuole nessuno, come abbiamo raccontato anche nei numeri scorsi di ‘Piazza Levante’: tant’è, però, l’iter amministrativo continua a muoversi in maniera inesorabile, facendo forza anche su una sentenza favorevole emessa di recente dal Tribunale delle Acque, che ha di fatto respinto il ricorso presentato dai cittadini.
È un ‘mostro’ di cemento che prosegue il suo cammino anche perché si parla di messa in sicurezza dal rischio idrogeologico e nessuno pare voglia prendersi la responsabilità di interrompere un iter così delicato, nell’eventualità di inondazioni, piene e ulteriori danneggiamenti. Ma non può finire così, non può passare un progetto vecchio nei modi e nei tempi e il Comitato Giù le mani dal fiume Entella non si arrende.
Intanto, però, nei giorni scorsi, le lettere di esproprio, che erano state annunciate alla vigilia delle elezioni regionali dello scorso settembre – pure qui con una scelta di tempi quantomeno discutibile – sono state effettivamente recapitate. Lo rende noto uno dei membri del comitato, Federico Cardelli: “Le notifiche del decreto d’esproprio sono arrivate. I proprietari dei terreni sul primo lotto hanno meno di due mesi per impugnarle: che lo facciano è tutt’altro che scontato, visti l’esito del precedente ricorso e la rassegnazione che serpeggia. È una rassegnazione alimentata dal silenzio complice della politica, che anche nelle ultime settimane, come abbiamo visto, s’è fatta viva solo per prenderli in giro”.
Secondo Cardelli, “non c’è stato alcun interesse da parte dei sindacati e delle associazioni di categoria e Confindustria è stata lasciata completamente sola nel promuovere l’alternativa di uno scolmatore, più sicuro, meno costoso e meno impattante di sei chilometri di muri in cemento armato. Poco male se per finire i muraglioni a Chiavari, Lavagna, San Salvatore e Carasco ci vorranno dieci, venti o trent’anni, nei quali le attività in zona rossa rimarranno ingessate, e molto probabilmente si rivedranno gli stessi danni del 2014. Possibile che sindacati e associazioni non abbiano niente da dire? E i sindaci di Chiavari e Lavagna, con le loro promesse rese anche per iscritto, che fine hanno fatto?”.
Nel mirino, ancora una volta, ci sono Marco Di Capua e Gian Alberto Mangiante, che all’ultima riunione in Città Metropolitana, a proposito della ‘diga Perfigli’, si sono visti rispondere dal sindaco metropolitano, Marco Bucci, che non c’è nessuna intenzione di fermare l’iter amministrativo. E mentre la Regione Liguria, nonostante le promesse in campagna elettorale da parte di Giovanni Toti, rimane in silenzio, la ‘macchina’ continua a girare, la preoccupazione sale, la rassegnazione pure.
Giovanni Melandri, un altro fra i membri più attivi e battaglieri del Comitato Giù le mani dal fiume Entella, parla di “ombre fitte” sulla vicenda, ricordando che “Città Metropolitana, alla vigilia delle recenti elezioni regionali, ha emesso l’atto di esproprio dei terreni che dovranno ospitare il cantiere relativo a tali opere e che il successivo incontro tra le massime autorità di Regione e Città Metropolitana con i sindaci dei comuni di Lavagna e di Chiavari, per una soluzione politica che evitasse lo scempio correlato alla realizzazione di tali opere, si è concluso con un nulla di fatto. Di questi giorni è la notizia di notifica dell’atto di esproprio ai proprietari dei terreni, per cui in mancanza di ricorsi su tali atti, nulla sembra fermare l’insensatezza del progetto portato avanti con pervicacia dalle amministrazioni pubbliche responsabili. Evidentemente non ci si può arrendere all’ineluttabilità di un’opera che, oltre ad essere riconosciuta quasi da tutti datata e superata, è osteggiata, in primo luogo, proprio dal sindaco di Lavagna, la città che dovrebbe esserne difesa”.
Il comitato, e questo va detto a onor del vero, nel corso degli anni non si è solamente limitato a dire ‘no’, ma ha continuato a proporre e a indicare delle soluzioni alternative, nello strenuo tentativo di venir preso in considerazione. C’è una ricchissima documentazione in merito, che i membri del gruppo hanno anche fornito, di recente, ai consiglieri regionali neo-eletti, perché la possano studiare e prendere in considerazione.
Ma che cosa è, nello specifico, la ‘diga Perfigli’? Val sempre la pena di ricordarlo. Secondo il progetto ufficiale, si tratta di “un nuovo argine alto tre metri e largo quattordici metri. Gli interventi, finanziati con oltre 10 milioni di euro (10.134.894), di cui 8 da fondi statali e gli altri da stanziamenti regionali e della stessa Città Metropolitana, conterranno le piene centennali e, al limite massimo della loro capacità, anche quelle duecentennali”.
Un impatto notevole, insomma, anche se probabilmente non risolutivo, come dimostrano tanti studi che si sono susseguiti nel corso degli anni. Quello che la ‘diga Perfigli’ non prevede, infatti, sono le opere di messa in sicurezza a monte, che invece parrebbero quanto meno essenziali. E il comitato continua a ribadire questo discorso, attraverso quattro punti.
La foce. A causa della presenza dei porti di Lavagna e Chiavari e del pennello del Lido, è stata deviata rispetto alla curvatura a destra (verso Chiavari), attestata dalle antiche cartine. Tale curvatura evitava che lo sbocco in mare incontrasse l’ostacolo dei marosi, come avviene nelle attuali condizioni. Da tale modifica della foce deriva il crescente insabbiamento e il conseguente rallentamento della velocità delle acque del fiume nella parte terminale, con frequenti esondazioni nel tratto focivo del fiume. Si rende dunque necessario uno studio, che indichi gli interventi opportuni in tale zona.
Il ‘seggiun’. Secondo il comitato, è fondamentale la riparazione del ‘seggiun’ (cioè il vecchio argine napoleonico), specialmente in alcuni tratti in cui risulta leggermente danneggiato. Potrebbe essere valutato, se tale intervento fosse ritenuto insufficiente al contenimento delle piene più importanti, un ulteriore argine, delle stesse dimensioni del ‘seggiun’, anche sul limitare esterno della piana, nella zona opposta rispetto alla pista ciclabile.
Le opere a monte. Assolutamente irrimandabili il monitoraggio e gli interventi per il rallentamento della velocità delle acque a monte specie, ma non solo, sul torrente Sturla, confluente insieme al torrente Lavagna e al torrente Graveglia nel fiume Entella, con attenzione per la diga di Giacopiane e soprattutto per la frana che interessa il bacino di Malanotte.
Lo scolmatore. Infine, la soluzione del canale scolmatore sul torrente Lavagna, già ipotizzato da Confindustria in zona Carasco, ma interessante è anche l’ipotesi di realizzarlo nella zona di Coreglia, con sbocco a Zoagli, secondo uno studio degli anni Settanta, in quanto, in tal modo, anche gran parte della Val Fontanabuona sarebbe protetta. Per tale canale si potrebbe probabilmente utilizzare una galleria già esistente.
Perché di questi punti non si parla mai? Perché non vengono mai presi in considerazione? Perché si preferisce tutto questo cemento alla foce di un fiume? Perché si vogliono far morire tutte le attività della piana dell’Entella? È troppo insopportabile non avere risposte, troppo ingiusto non essere ascoltati. L’ennesimo scempio è sempre più dietro l’angolo. Chi si prenderà la responsabilità di averlo fatto andare avanti?