Dopo una lunga e per certi versi paradossale attesa, la pubblicazione del Decreto per Genova sulla Gazzetta Ufficiale invece di ricevere consensi sta generando reazioni per lo più negative da parte delle istituzioni e degli operatori economici genovesi e liguri.
Molti sono i punti critici che suscitano interrogativi e preoccupazioni, e più in generale si ha la sensazione che, dopo tante parole e discorsi, il governo abbia partorito un provvedimento fortemente al di sotto delle attese.
Vediamo con ordine le principali questioni.
- Innanzitutto non convince il meccanismo, sia giuridico che finanziario, ipotizzato per la ricostruzione del ponte. Il tema è naturalmente chi paga, e come fare presto senza incorrere in ricorsi e impugnative.
L’unico meccanismo che garantirebbe l’immediata ricostruzione sarebbe l’affidamento diretto alla concessionaria Autostrade che, proprio per concessione, può realizzarlo direttamente senza passare per una gara europea. Naturalmente la concessionaria potrebbe associare in un’ATI (associazione temporanea di imprese) altre aziende, anche pubbliche o a controllo pubblico, capaci di collaborare e di garantire un pieno controllo sull’operato di Autostrade.
Ma il decreto non prevede questo. Partendo da un principio di colpevolezza della società concessionaria, la esclude da qualsiasi ruolo, e addirittura prevede lo stanziamento di 300 milioni dei contribuenti (30 milioni l’anno per 10 anni) per anticipare i fondi necessari alla costruzione.
Se si esclude il passaggio diretto senza gara dalla concessionaria (per un’opera il cui costo è stimato tra i 200 e i 250 milioni), è arduo prevedere una deroga alla norme europee per gli appalti, in cui sono previste gare obbligatorie senza le quali i ricorsi sono quasi certi.
Ma passare da una procedura di gara significa 60 mesi per avere il ponte, e non 12 o 24 come più recentemente ipotizzato.
Al riguardo il governatore Giovanni Toti ha ricordato: “Il decreto non mette per nulla al sicuro da ricorsi e lentezze burocratiche. Anzi, proprio per come è scritto, li temiamo moltissimo. È la prima volta nella storia che invece di far riparare il danno a chi lo ha fatto, si chiedono i soldi ai contribuenti”.
2. Rispetto alle aspettative vi è poco o nulla per i settori dell’economia genovese gravemente colpiti dalle conseguenze del crollo del ponte Morandi.
C’è pochissimo (15 milioni contro i 100 previsti in un primo tempo) per il porto, che ha già fatto registrare un impressionante calo di traffico che rischia di aggravarsi ulteriormente col passare del tempo. Non c’è quasi nulla per gli autotrasportatori; non è prevista la cassa integrazione in deroga per i lavoratori delle aziende in crisi per il crollo del ponte .
3. Infine c’è la grande questione della Gronda, la cui realizzazione era prevista a carico della concessionaria Autostrade ma di cui oggi nulla più si sa, così come della prosecuzione delle attività per la realizzazione del Terzo Valico ferroviario, rispetto alla quale si parla, addirittura, di un blocco dei fondi già stanziati.
Può la conversione in Parlamento essere l’occasione per migliorare il decreto chiarendone i punti oscuri e correggendone i limiti più eclatanti?
Le sensazioni non sono buone, perché si ha l’impressione che anche sulla terribile vicenda genovese, al di là delle belle parole e degli impegni assunti nei giorni della tragedia, si stia giocando una brutta partita politica dove il governo, ed in particolare il M5S, non vuole consentire alcun protagonismo alle istituzioni locali, cioè la Regione ed il Comune nelle persone di Toti e Bucci.
C’è il rischio che questa guerra sorda e non dichiarata, così come l’estremismo di voler individuare un colpevole prima che ci sia stato un processo, ricadano per lungo tempo sulle spalle dei cittadini genovesi che, rabbiosi, sono destinati ad attendere a lungo, in coda, la realizzazione di un ponte che chissà quando si farà.