di FABRIZIO DE LONGIS
Il depuratore in Colmata a Chiavari potrebbe diventare un progetto critico a livello europeo. A spiegarlo è Maria Angela Danzì, eurodeputata del Movimento 5 Stelle.
Membro della commissione Ambiente e Salute e di altre due: per lo Sviluppo regionale e Petizioni, Danzì vanta una profonda esperienza come dirigente pubblico, persino in qualità di segretario e direttore generale della Città Metropolitana di Roma Capitale, ma anche, per venire al contesto ligure, di segretario e direttore generale del Comune di Genova.
Onorevole Danzì, perché dice che il depuratore in Colmata potrebbe avere criticità a livello europeo?
“Intanto va evidenziato un primo aspetto. Un progetto come quello del depuratore di Chiavari non può essere preso alla leggera. Si tratta di un impianto rilevante. Per questo ritengo grave che si stia procedendo come fatto oggi, senza confronto e chiarezza, soprattutto in considerazione di un nuovo elemento. In Europa abbiamo approvato, prima in Commissione Envi e in ottobre in Plenaria a Strasburgo, la nuova direttiva sul trattamento delle acque reflue che prevede di rafforzare la coerenza con le principali legislazioni dell’UE sull’acqua e, per impianti come quello di Chiavari, l’obbligo di utilizzare fonti energetiche alternative per mitigare l’impatto energivoro”.
A Chiavari però non sarà possibile per la posizione dell’impianto che, come ha spiegato il Comitato no al depuratore in Colmata, non permette né l’utilizzo di energia solare o eolica, né l’installazione di un biodigestore.
“Per questo motivo sarebbe importante che l’iter del progetto venisse sospeso per adeguarlo al nuovo quadro normativo europeo. Il rischio è quello che l’impianto venga inaugurato già in infrazione europea e comunque non in linea con l’innovazione richiesta nella gestione delle acque reflue”.
Un fatto grave?
“Gravissimo, ma soprattutto assurdo se si parla di utilizzare aree pubbliche, di impatto sulla cittadinanza e di soldi dei cittadini. Perché va ricordato che ogni costo sarà ribaltato nelle bollette dei cittadini”.
Sempre in tema ambientale, rimane da chiarire il riutilizzo delle acque depurate, che per l’Unione europea è un aspetto dirimente.
“Direi fondamentale. Sappiamo quanto l’acqua sia importante oggi. Le acque depurate vanno riutilizzate, dicono le normative europee. Per quello che so, a Chiavari si è dichiarato che ciò verrà fatto per il lavaggio strade e per le barche in porto, ma per un depuratore di 140mila persone questo potrà avvenire per una porzione ridotta di quanto depurato. Il resto delle acque verrà sparso in mare. Un controsenso. Soprattutto per un impianto così grande”.
Perché evidenzia le dimensioni dell’impianto?
“Perché un altro aspetto importante che l’Unione europea dovrebbe evidenziare è la dimensione del depuratore proposto. Si sta imponendo ad una città di meno di 30mila abitanti di ospitare un depuratore per 11 comuni e per 140mila persone. Stiamo parlando di un progetto che potrebbe essere tecnicamente sproporzionato”.
Quindi troppo grosso per Chiavari?
“Mi sembra evidente e va approfondito il processo amministrativo che è stato realizzato per valutare l’impatto che questo depuratore ha sull’ambiente. Dalla sua realizzazione, all’utilizzo delle acque, ai fumi dei trattamenti, fino ai collettamenti dei tubi. Ad esempio sappiamo che a Chiavari quest’ultima parte, ossia collegare altri 10 comuni alla colmata, non è stata progettata e tantomeno presa in considerazione per valutare l’impatto sull’ambiente. Direi che ciò rende perlomeno incompleta ogni forma di valutazione in merito. Si parla di gravi mancanze progettuali. Insieme ad altre scelte dubbie”.
Quali scelte?
“Ad esempio quella di porre il camino del depuratore nel porto cittadino. Già di per sé una scelta anomala. Quello che però ritengo vada approfondito chiaramente è il fatto che nel porto di Chiavari stanziano barche da diporto. E soprattutto nei pressi del futuro camino vi sono gli stalli per quelle di dimensioni maggiori, su cui le persone possono dormire e finanche vivere. Quindi è da valutare se questa presenza, preesistente, non vada considerata come una presenza equiparabile alle case. Elemento fondamentale per determinare la distanza minima di realizzazione del camino, che a questo punto potrebbe dover essere spostato e non di poco. Resta da verificare se la distanza dall’abitato sia da considerare quella del camino o quella dall’impianto”.
Scelte e carenze che per lei pregiudicano il progetto?
“Se dalla loro valutazione verranno accertate mancanze, certamente, lo pregiudicano. Personalmente lo studierò attentamente per interrogare nel merito la Commissione europea. Ai cittadini di Chiavari, invece, consiglio di intraprendere una petizione al Parlamento europeo. Si tratta di uno strumento semplice da attuare e molto efficace. Quello che però stupisce è l’assenza di informazione pubblica. Un’opera doverosa che non è stata fatta su questo depuratore”.
Un obbligo democratico?
“Ma non solo democratico, proprio formale. L’Unione europea prescrive l’obbligatorietà di un dibattito pubblico, codificato nei tempi e modi, per le opere sopra 200 milioni di euro e comunque fortemente impattanti sull’ambiente e società”.
Iren però, come costo complessivo, per Chiavari ne prevede circa 80 di milioni.
“Un dato che, stando agli studi di diversi tecnici, è del tutto irrealistico e che si attesta, più realisticamente, proprio oltre i 200 milioni indicati dall’Unione europea. Cifra che comunque non è chiara e nota proprio per la mancanza di informazione ai cittadini: l’importo dell’opera non va calcolato solo sul lotto dell’impianto ma sul complessivo costo dell’opera e quindi delle opere di collettamento. Considerando inoltre che un impianto così importante richiede la buona pratica di governo di aprire un dibattito pubblico che oggi esiste solo per l’iniziativa di un comitato di cittadini. Si tratta di un fatto grave su cui chiederò riscontro alla Commissione europea e i nostri parlamentari chiederanno riscontro ai ministeri competenti. Non conoscere l’importo complessivo di un’opera, anche se realizzata in lotti, e le relative fonti di finanziamento potrebbe farci correre il rischio di costruire una cattedrale nel deserto; anzi in questo caso una cattedrale in mare”.