di FABRIZIO DE LONGIS
Se solo c’è una vaga ipotesi che il Tribunale possa tornare a Chiavari, è una strada che deve essere perseguita.
Di summa è questo il messaggio che negli ultimi giorni è arrivato a Genova e che Genova sta guardando con grande interesse.
È bastata l’ipotesi che il ministro di Grazia e giustizia, Carlo Nordio, stia pensando di rivedere la geografia giudiziaria del paese in senso opposto e contrario a quanto fatto dall’allora ministra Paola Severino, anno domini 2012, per sollevare un moto di speranza e anche di rivalutazione concreta di quanto è stato deciso e fatto allora.
Ripercorrendo, appunto, quello che ad oggi ci ha condotti qui, è bene ricordare cosa è successo e con che ratio.
Il governo è quello preseduto da Mario Monti. Must nazionale, ridurre la spesa pubblica. In quest’ottica, molto europea (inteso Bruxelles), e poco concreta, si arriva a pensare di chiudere i tribunali che non sono ubicati in città capoluogo di provincia. E Chiavari è uno di quelli. Poco conta l’efficienza del singolo tribunale. Per nulla interessa in che contesto sociale e geografico sia ubicato. La sola direttiva è tagliare.
Un fulmine a ciel sereno che arriva a Chiavari e sorprende tutti. Perché, se in Belgio si arriva a scegliere per l’Italia e Roma ubbidisce, in città e nel territorio le prospettive sono ben diverse. Innanzitutto si sta ultimando il nuovo palazzo di giustizia moderno e centrale che dovrebbe radunare gli uffici che in precedenza erano separati in due sedi (sopra le Poste di Nostra Signora dell’Orto e in piazza Mazzini). La struttura sociale e lavorativa della città è fortemente improntata sugli studi professionali e quindi, data la forza calamitica del tribunale, di avvocati. Infine Chiavari risulta naturale punto di approdo per la confluenza di una popolazione ampia e un insieme di comuni vasto.
Alla notizia l’opposizione è compatta (chi si ricorda bene, anche da parte degli stessi organi chiavaresi di Grazia e giustizia). Gli avvocati occupano il nuovo tribunale e vi dormono dentro con le tende. I commercianti organizzano eventi, corse e camminate verso Roma. La politica prova ad agire sull’organo rappresentativo del paese, ossia il Parlamento. Insomma, la città si mobilita come forse oggi manca. E in effetti dal Parlamento una risposta arriva. Chiavari viene inserito fra i sei tribunali che non andrebbero chiusi. Piccolo dettaglio, la decisione del Parlamento ha il potere, scarno, per dirla con gentilezza, di svolgere un ruolo consultivo verso il Governo.
Governo che alla fine decide e lo fa per la strada peggiore: se si deve tagliare, tagliamo e via.
Con cotanta analisi, i risultati sono belli che fatti. Il territorio del Tigullio perde autonomia, importanza, un indotto economico non indifferente (stimato in circa 80 milioni euro l’anno), ma soprattutto il tema nodale della giustizia sociale.
Perché è proprio qui il paradosso che emerge e che da oltre dieci anni è chiaro in città, ma lo è stato meno a Genova. Dove però oggi gli indirizzi sembrano mutare progressivamente.
Proprio nel tema della giustizia, si attua un’ingiustizia sociale. Pensare di ignorare gli elementi caratterizzanti di un territorio e pretendere un centralismo sordo, crea disparità. Immaginare che un cittadino di un comune come Santo Stefano d’Aveto, per difendersi debba raggiungere Genova, vuol dire metterlo in grave disparità. Non peraltro si è sempre parlato, in questi casi, di baricentrismo.
Il vulnus di questa visione ingiusta di una progressiva riduzione delle autonomie territoriali, e di come questo sia un grave danno alla vita dei cittadini, di conseguenza della democrazia, comincia a divenire chiaro anche a chi gode di questo accentramento, ossia Genova.
In questo quadro, negli ultimi giorni è nato nel capoluogo un intenso scambio di opinioni sull’opportunità, sulla giustizia e sulla reale concretezza di questo passaggio.
Scorporando i temi, si può vedere che l’opportunità sembra essere presente, sia a livello politico, ossia vi è chi a Roma potrebbe prendere questo indirizzo (è propria di Giorgia Meloni un’impostazione verso un ripristino dei poteri sussidiari), sia a livello sociale, in quanto vi è l’opportunità di ripristinare maggiore equità. La giustizia in questo ne godrebbe, per competenza territoriale, tornando in un territorio che non andrebbe a ingolfare gli uffici genovesi e che storicamente ha sempre dimostrato la sua efficienza, ma anche in termine proprio, ossia di giustizia sociale, per l’appunto. Infine viene quello che da molti è visto come il tema nodale: la concretezza di tale proposta.
Qui emerge forse il nodo più grosso che si possa trovare con il pettine. Che sia fattibile, lo insegna la storia. Un passaggio simile fu attuato durante la dittatura fascista. Altri tempi e altri modi che non si rimpiangono di certo, ma che dimostrano che se ce l’hanno fatta anche i peggiori, forse ci si può riuscire. Dall’altro ci sono due piani paralleli di decisione politica. Quello romano, con la politica ma anche la macchina ministeriale competente, che dovrà trovare la quadra negli assetti, tempi e modi. Ma dall’altro lato vi è quello territoriale e prettamente cittadino. La legge vuole, infatti, che del tribunale (costi compresi) se ne occupi quasi esclusivamente il comune di competenza. In questo caso Chiavari. Ed è su questo punto che gli scettici lanciano la sfida alla città e i contrari puntano sul fallimento.
La vera domanda in capo è se Chiavari sia pronta a riaccogliere il tribunale in città. A partire da dove collocarlo. È forse qui che si spende la partita. Che la città abbia un’idea progettuale che possa togliere la pietra d’inciampo del no, ma che anzi serva da spinta verso il ripristino. E su questo fronte, si intuisce da Genova, nessun passo sembra essere stato fatto dal comune. Insomma, Chiavari ad oggi sembra impreparata a tutto ciò e forse il principale avversario del ripristino. Questo sente Genova, e quindi questo rischia di arrivare a Roma. Come dire, chi è causa del suo mal.