di FABRIZIO DE LONGIS
Lo stato di salute dell’economia di Genova e, con Genova, dell’Italia. Le sfide attuali e quelle del futuro. È questo che si è tentato di misurare lunedì scorso in occasione dell’assemblea annuale della Confindustria cittadina a Palazzo Ducale. Alla presenza del presidente nazionale degli industriali, Carlo Bonomi, è andato in scena un primo tassello verso la ricostruzione del triangolo produttivo del nordovest. Presenti, infatti, oltre al padrone di casa Umberto Risso, anche i presidenti di Assolombarda, Alessandro Spada, e dell’Unione Industriali di Torino, Giorgio Marsiaj.
Se da un lato si è parlato delle sfide del futuro, quello più lontano, gli orizzonti, forse girati un pizzico troppo a nord, e poco a sud, verso il mare, sul tavolo sono saltati anche i temi più vicini, quelli che forse si vorrebbe immediati, se non in ritardo: su tutte, tema estremamente scottante in Liguria, le infrastrutture.
Ma se la visione del futuro, quella che un imprenditore deve necessariamente avere, ha preso spazio nella discussione degli industriali, in città lunedì è arrivato anche il piede pesante dello sciopero che ha richiamato l’attenzione di tutti su cosa accade oggi. Infatti il particolare di lunedì è stato che, mentre a Palazzo Ducale intervenivano gli industriali, nella stessa città, a qualche chilometro di distanza, le vie di Sestri Ponente venivano bloccate dagli operai di Acciaierie d’Italia in sciopero. Perché è l’oggi, il vissuto di questi giorni, forse, la più grande sfida che l’industria italiana ha da vivere. Un’inflazione esplosa dalla crisi energetica, una produzione che rallenta se non addirittura si ferma per i costi troppo elevati e le catene del valore e quelle delle forniture che a livello mondiale si sono, se non spezzate, perlomeno annodate diverse volte, mandando in crisi quelli che erano gli asset su cui si reggevano le dinamiche commerciali e produttive del pianeta.
Con queste premesse a Genova ci si poteva aspettare una miscela esplosiva, gli operai in corteo che occupano la piazza sotto il palazzo nobile della città che ospita gli industriali. Invece quello che è parso ai presenti è che si sia trovata più unità che divisione. Perché ad oggi il tema centrale, in una città fattasi grande sulle industrie di stato, sembra proprio capire che ruolo possa avere la mano pubblica nelle partite industriali più cocenti. Intervento diretto, finanziamenti ai privati, una strategia industriale del paese. Ingredienti da miscelarsi con cura.
Insomma, la partita che, come ricordava qualche industriale in attesa dell’arrivo mai avvenuto del corteo degli scioperanti, è quella che fa Pil ed occupazione. Perché poi è qui il nocciolo della questione: siderurgia, costruzioni, difesa, energia, cantieristica, sono queste le partite occupazionali di una nazione industriale. Il mondo metalmeccanico, quindi. E infatti era il mondo metalmeccanico a parlarsi a distanza a Genova lunedì. Al Ducale gli imprenditori, per le vie di Sestri Ponente gli operai. Ma quello che all’occhio disattento sembrava una sorpresa, era invece la naturale vicinanza delle posizioni. Certo, con dei distinguo, ma su punti comuni. Punti che si possono riassumere in poche parole chiave: investimenti, legislazione chiara ed obiettivi concreti, scevri da ideologie. Perché non c’è industria che si possa fare, e quindi ricchezza che sia prodotta, senza fare i conti con la realtà. In poche parole da Genova lunedì è arrivata una chiamata alla concretezza, alla difesa degli interessi strategici nazionali e del lavoro, con l’accantonamento di ideologie inattuabili come le emissioni zero.
Così, mentre gli operai scioperano in forma contenuta, perché è chiaro che fra solidarietà, riduzioni salariali e aumento del costo della vita, rinunciare ai soldi in busta paga non è facile, dall’altro lato gli industriali chiedevano a Roma certezze. Il ruolo che uno stato deve fare: e seguire il suo, come realizzare le infrastrutture, e permettere ai privati di investire e creare ricchezza. Allora eccola la partita che da locale si fa nazionale e poi internazionale. In un mercato come quello globale odierno, chiaramente unfair, è da capirsi cosa può fare una nazione come l’Italia e quindi Genova.
E qui Genova si trova coinvolta almeno in un paio di dossier importati. Da un lato una partita prevalentemente genovese, ossia Ansaldo Energia, controllata già oggi da Cassa depositi e prestiti per l’88% delle azioni. Dall’altro Acciaierie d’Italia, azienda che vede a Genova un impianto che lavora solamente di indotto da Taranto, e che molti, perché la storia non si dimentica, ancora oggi chiamano Ilva, aggiungendoci con non poco ripianto un ex davanti, preposizione che molti leggono Riva.
Così si lunedì si è tentato di fare la somma delle parti. Ovviamente, in una situazione in cui il mercato non sembra avere soluzioni pronte, la richiesta degli operai è quella di un intervento statale, persino massiccio, quasi amarcord, con una nazionalizzazione delle aziende. Mentre gli imprenditori, per loro natura, credono al mercato e il mercato vogliono che sia sostenuto. Ma tutti sembrano chiedere chiarezza e decisione.
Perché qui la storia delle due crisi sembra fatta di tentennamenti e mezzi approcci. Decisioni rese indecisioni e di corse accennate ma fermate. Uscendo da Palazzo Ducale, quindi, rimane la domanda su quale sia la strada dell’industria italiana. E sei i conti sono chiari, allora sembra semplice il risultato. Senza industria, di quella vera, che marcia, che ha il suo peso, che conquista mercato, sembra ben difficile ripristinare il triangolo industriale. E per far che ciò avvenga, servono idee chiare, una rotta precisa e investimenti.
“Genova chiama Roma”, sintetizza un imprenditore lasciando piazza De Ferrari.