di FABRIZIO DE LONGIS
Serve un nuovo modello di cura e accoglienza degli anziani e malati in Liguria? La domanda è di quelle ostiche e sembra esserlo anche per Regione Liguria ed Alisa, l’azienda unica della sanità regionale.
A partire dalla pandemia Covid-19, il modello tramandato, poco aggiornato ed evoluto dell’accoglienza degli anziani e malati, si è rivelato fallace sotto molti punti di vista. Condizione di cui sembrano essersi accorti in molti, compresa la politica nazionale e locale, insieme a quella europea.
Se da un lato i nuovi protocolli sanitari hanno permesso di intervenire sull’esistente, soprattutto consentendo un aggiornamento di tecnologie e competenze, non molto è stato possibile fare sulle strutture.
La particolare conformazione ligure, inoltre, su questo tema pare abbia influito molto. Il periodo pandemico ci ha abituato alle case di cura chiuse a modello bunker, con l’impossibilità di accesso ed uscita dalle strutture, focolai pervasivi o, di rado, persino oasi di sicurezza. E proprio in questo discrimine polarizzato, sembra risiedere il grande interesse di Regione Liguria per un riordino complessivo del settore.
Nota non di poca importanza, il sistema delle case di cura si regge quasi totalmente sul sistema di accreditamento dei privati verso il pubblico. Vale il principio di quei settori sanitari in cui lo stato demanda ai privati la copertura di fabbisogni non di primaria necessità, considerando la logica aziendale più efficiente ed efficace. Ma soprattutto in grado di supportare un settore in cui la domanda si espande e contrae in maniera ciclica, per cui le strutture private sono in grado di rispondere meglio alle esigenze contemporanee, di quanto potrebbero fare le aziende sanitarie pubbliche. Questo perché creare posti letto nel pubblico, richiede tempo e denaro (non pochi entrambi), con una logica di investimenti e programmazione a medio e lungo periodo (strutture, macchinari, personale etc.). Mentre accreditare posti letto nel privato è molto più facile. A seconda delle esigenze, si aumentano le strutture partner della sanità pubblica, o si riducono.
Ovvio, il compromesso accettato, è che queste strutture applichino una logica di profitto. Per questo motivo, tolti casi eccezionali, l’accreditamento pubblico è oramai limitato per legge secondo logiche di esigenza territoriale (quanti posti secondo la popolazione di un territorio, di un comune o di un quartiere di riferimento), ma soprattutto nei termini di copertura dei costi, che non possono essere soddisfatti per intero.
Insomma, visto che è business, lo stato aiuta chi ricovera un parente in una casa di cura, ma non copre tutte le spese se non in condizioni eccezionali.
Essendo però i costi di tali servizi molto elevati (in media diverse migliaia di euro mensili), l’accreditamento cambia i destini aziendali di queste strutture. Contemporaneamente, si potrebbe osservare che proprio questa logica ha troppe volte e per troppo tempo messo in primo piano i conti economici e non la qualità e varietà dei servizi offerti.
Su questo punto di merito sembrano essere oggi negli indirizzi di Regione Liguria, e più specificatamente della presidenza, interventi nel riordino di questo settore.
Guardando un primo aspetto, l’esperienza della pandemia ha già fatto intervenire Regione nell’indicazione di nuovi standard, non solo sanitari, ma proprio strutturali a cui le case di cura devono adeguarsi, pena l’esclusione dal sistema di accreditamento. Insomma, serviranno spazi adeguati, la possibilità di compartimentare la struttura per isolare gli eventuali infetti, e via dicendo. Condizione non da poco se si tiene conto che, soprattutto nelle grandi città come Genova, le case di cura oggi risiedono anche in appartamenti dentro condomìni, e non solo in strutture autonome. Basta immaginare la condizione del centro storico genovese (proprio perché deve essere garantita una copertura territoriale proporzionale ai cittadini).
Ma quelle che oggi sembrano essere prescrizioni talvolta non facili da affrontare, ma ragionevoli in una logica di riforma progressiva del settore, potrebbero diventare una ghigliottina europea. Infatti l’Unione europea, la quale è solita intervenire nei settori più disparati con estreme capacità di dettaglio, pare abbia preso in considerazione da tempo questo sistema di accreditamento sanitario italiano dedicato alle case di cura.
Obietti, come sempre, la concorrenza vista come condizione di efficientamento, abbattimento dei costi all’utente e miglioramento dei servizi.
Per farla breve, il modello preposto è quello della direttiva Bolkestein. Il settore delle case di cura patisce un estremo immobilismo degli accreditamenti (questo si sa da tempo, una volta accreditata, una struttura non perde quasi mai la collaborazione con il pubblico e questo immobilizza il mercato, facendo abbassare gli standard e alzare i costi). Per risolvere questa condizione, la spinta europea sembra essere quella di mettere a gara gli accreditamenti delle case di cura, alla stregua delle concessioni demaniali degli stabilimenti balneari.
Eventualità che, con le nuove prescrizioni, soprattutto in termini strutturali, sembra prospettarsi come una vera rivoluzione del sistema ligure, in quanto molte delle attuali e storiche case di cura, si vedrebbero escluse al sistema di pagamento pubblico.
Condizione che metterebbe in forte discussione il modello di servizi finora proposto. Tema su cui gli uffici regionali stanno impegnando non pochi sforzi.