di FABRIZIO DE LONGIS
Nel dedalo delle amministrazioni pubbliche, il chi decide cosa, è oggi affare non semplice. In special modo se a cercare di fare luce sono i singoli cittadini che cercano di comprendere come le decisioni vengono prese per loro conto. I vari livelli di governo, e quindi politici, sono ormai ben chiari. La continua chiamata alle urne dei cittadini lo hanno reso palese. Ma oltre agli organi elettivi, comuni, città metropolitane (elezioni di secondo grado), regioni, parlamento e parlamento europeo, esistono altre realtà di rappresentanza dei cittadini che hanno grande importanza nelle loro vite, ma meno note al pubblico.
Uno di questi è l’Ato, sigla che sta per Ambito territoriale ottimale, ossia un territorio in cui i servizi pubblici vengono organizzati in maniera integrata. Per la Liguria sono quattro e coincidono con le divisioni provinciali. Conseguenza ne è che il Tigullio rientri in quello della Città metropolitana di Genova.
Nella fattispecie gli Ato si occupano di tematiche molto rilevanti, di cui due senza dubbio nodali (ciclo delle acque, sistema integrato dei rifiuti), e tre apparentemente meno presenti nella vita di tutti i cittadini, ma non meno baricentriche (energia e ambiente, rumore ambientale, zone speciali di conservazione ambientale).
Così l’Ato gestisce pratiche delicatissime, come già ampiamente visto nel recente dibattito sui rifiuti, per cui si è sviluppato un dibattito-scontro con Genova, arrivato nei tribunali amministrativi. Ai rifiuti, poi, come detto, si affianca il tema del ciclo integrato delle acque. Per intenderci, acque bianche e fogne. Pratica assai nodale nella gestione di un territorio orograficamente complicato come il levante genovese e soggetto a fluttuazioni di popolazione importante fra la stagione estiva e il periodo invernale, nella versione ampia, e fra la settimana feriale e i fine settimana di turismo, nel breve.
Dimostrazione recentissima ne è stata la complicata, e non finita, partita dei depuratori tigullini (Sestri Levante, Lavagna, Chiavari, Rapallo e Santa Margherita Ligure).
La particolarità dell’Ato, su tutte, è la modalità in cui vengono assunte le decisioni nodali per il territorio. La forma di ottimale, presente nel titolo, infatti, non sembra in realtà rispecchiarsi nella sostanza.
Come prima cosa l’Ato è composto dai sindaci dei comuni membri. Gli stessi sindaci sono componenti della Conferenza metropolitana (potremmo dire la giunta della Città metropolitana). Per le decisioni principali, la conferenza si esprime con un voto a maggioranza dei componenti che deve essere assunto in due forme. La prima, con un voto a maggioranza del numero dei sindaci. La seconda, prevede una calmierazione della prima, in quanto la maggioranza dei sindaci, deve anche rappresentare la maggioranza dei residenti. Norma che nel caso della provincia genovese ricade quasi nell’assurdo. In quanto su un territorio di circa 840mila residenti, la sola Genova ne misura circa 560mila. Non diverso il calcolo dei singoli comuni, in cui fra i 67 che compongono l’area della Città metropolitana, almeno 33 di questi sono ascrivibili alla stretta area di Genova (con una forte dipendenza economica e logistica dal capoluogo), numero che sale in maniera rilevante se si restringe il contrappeso agli interessi del Tigullio. Insomma, la garanzia sembra essere che in Conferenza metropolitana quello che pesa è il volere del capoluogo, come troppo sembra essere da tempo in ogni decisione.
A questo punto basta desumerne che anche se tutti i 66 sei comuni della provincia, escluso Genova, volessero assumere una decisione contraria al capoluogo, non potrebbero farlo perché non rappresenterebbero la maggioranza dei residenti.
Il potere della Conferenza, ad esempio di scegliere un sito per un impianto, è quello di indirizzo. Indirizzo che passa al consiglio metropolitano (quello eletto dai politici fra i politici membri dei vari consigli comunali e presieduto dal Sindaco metropolitano, ossia quello genovese). In questo caso il Consiglio approva in maggioranza semplice (ossia la maggioranza dei presenti alla singola convocazione del consiglio che è valida quando partecipano la metà più uno dei membri. Il consiglio è composto da 18 consiglieri più il sindaco di Genova).
A questo punto i progetti di competenza dell’Ato, passano a questo che a sua volta, vota nuovamente con la maggioranza semplice.
In questa forma le legittime istanze di comuni che pongo dubbi sui modi e le forme in cui dovrebbero essere gestite le fogne o i rifiuti nel loro territorio cittadino, non vengono ascoltate. Infatti non di rado vedono assumere decisioni senza che un loro eventuale diniego sia considerato. Per questo da Genova finisce che si sceglie come vanno raccolti i rifiuti e da chi, o chi deve ospitare un depuratore e perché.
La forma del dibattito pare assumere quella di un continuo contrappeso di interessi dove il calibro da novanta lo gioca Genova e il suo sindaco, Marco Bucci. Per fare una sola considerazione, Bucci presiede Genova, quindi la Città metropolitana, quindi l’Ato, e controlla, in quanto la controlla il comune, Amiu, la società di rifiuti cittadina (89% circa delle azioni), e vanta grande peso su Iren, di cui Genova è il primo azionista.
Il parere di indirizzo di Genova, sostanzialmente, diventa vincolante, o poco ci manca.
È questa, dunque, la forma degli assetti decisionali che sembra prendere ben poco in considerazione le istanze del Tigullio in ambiti decisionali cruciali. Scegliere come vengono depurate le acque nere, o come gestire la raccolta dei rifiuti, con connessi impianti, tubature, centri di raccolta e via dicendo, per di più in un territorio quasi esclusivamente turistico, vuol dire scegliere alcune delle direttive cruciali in termini di sviluppo e futuro.
La forma dell’Ato, quindi, è quella di vedere l’interesse dell’intera area di competenza, prevalere su quello locale, figuriamoci di un singolo comune, o di un quartiere di esso. La compensazione sembra scevra dal contatto con la realtà, se si pongono in decisioni temi che per certi territori, come le valli genovesi e la costa levantina, hanno pressoché nessun collegamento, e tantomeno, quindi, ottimale. In breve, si attua la democrazia monca della maggioranza. Per cui chi vince, ben poco o nulla ascolta chi perde. Campo assai difficile in cui giocare per chi cerca il compromesso o lo spettro di battaglie politiche. Soluzione che porta, come detto e visto, poi a dover sostenere battagli giudiziarie.
Se dai territori, in fine, negli ultimi anni è arrivata l’insistente richiesta di considerare prevalenti le istanze dei comuni interessati da ogni singolo progetto, fissandolo come il punto di partenza per assumere le decisioni, su questo tema da Genova, oggi, sembra arrivare una sostanziale sordità.
“A voglia, quindi, di non volersi far chiamare, matrigna”, sintetizzano alcuni dei sindaci interessati.