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Giovedì 13 novembre 2025 - Numero 400

Cronache da Genova – Tornano gli scioperi dei metalmeccanici. Il dossier dell’ex Ilva agita i lavoratori e il governo

Questa volta a scendere in strada sono stati i lavoratori di Acciaierie d’Italia, la compagnia partecipata dallo stato italiano tramite Invitalia e guidata dall’indiana ArcelorMittal che controlla gli stabilimenti del colosso ex Ilva
L'area ex ILVA a Cornigliano
L'area ex ILVA a Cornigliano
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di FABRIZIO DELONGIS

A Genova tornano gli scioperi del mondo metalmeccanico. È nuovamente la strategia del sistema industriale italiano a risuonare nelle voci delle tute blu liguri.
È passato quasi un anno da quanto il 13 ottobre 2022 gli ‘ansaldini’ hanno bloccato la sopraelevata e l’aeroporto di Genova. Quel giorno in gioco c’erano la ricapitalizzazione dell’azienda e il futuro nel mercato internazionale per un’industria simbolo della città e strategica per il paese. Così i lavoratori si erano fatti sentire con un gesto storico come l’occupazione delle piste di atterraggio del Cristoforo Colombo. Con annesse solidarietà e polemiche politiche.

Questa volta a scendere in strada sono stati i lavoratori di Acciaierie d’Italia, la compagnia partecipata dallo stato italiano tramite Invitalia e guidata dall’indiana ArcelorMittal che controlla gli stabilimenti del colosso ex Ilva. Altro pezzo di storia genovese e italiana, nonché cruciale per i destini nazionali.
I lavoratori dello stabilimento di Genova Cornigliano, in continuità con le mobilitazioni di Taranto, lunedì hanno dichiarato 24 ore di sciopero, uscendo dalla fabbrica per protestare lungo le strade della città. Come a ottobre scorso, la richiesta dei metalmeccanici è la certezza di investimenti e quindi di futuro dell’azienda.

Perché il destino dell’impianto genovese (che dipende dalla produzione di Taranto, drasticamente crollata), rientra in un quadro nazionale che oramai da tempo procura mal di pancia e tensioni, in un braccio di ferro fa la proprietà privata dell’ex Ilva e il governo. Esecutivo che a sua volta si presenta con divisioni e incertezze sul futuro del più grande asset siderurgico del paese. Infatti sembra che di recente il dossier ArcelorMittal sia passato dalle mani del ministro per le Imprese, Adolfo Urso, a quelle di Raffaele Fitto che guida la struttura del Pnrr. Forse quest’ultimo passaggio potrebbe rientrare nell’auspicata leva di finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza che consentirebbe di eseguire i famosi investimenti di ammodernamento e decarbonizzazione degli impianti. Soluzione oggi paventata (ma secondo alcuni analisti impossibile per i tempi ristretti del Pnrr e lunghi della conversione), dopo la non buona conclusione della ricerca di soci privati italiani per riacquistare la maggioranza e quindi il controllo del colosso siderurgico.

Il destino del ciclo produttivo siderurgico è legato a doppio filo con quello economico di una nazione. Settore da sempre strategico, è uno degli asset produttivi che determinano la competitività internazionale di un stato. In questo senso lo sciopero di lunedì sembra interessare non solamente i lavoratori, ma anche gli obiettivi del governo. In un momento in cui gli investimenti sembrano essere diventati necessari per garantire una sopravvivenza al sistema ex Ilva. La protesta dei lavoratori giunge in uno stato di tensione acuito, in cui le trattative fra il governo e ArcelorMittal sembrano a un punto di stallo.

Non manca, poi, dietro l’angolo la silente polemica e palpabile paura che a essere messe in gioco potrebbero essere anche le aree logistiche dello stabilimento di Cornigliano. Una spianata da un milione di metri quadrati, da decenni nel mirino degli spedizionieri portuali e da un paio di anni almeno, fortemente attenzionata dal sindaco di Genova, Marco Bucci. Altre elemento su cui le tutte blu sembrano pronte a dar battaglia.

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