di FABRIZIO DE LONGIS
Genova ha le potenzialità per un nuovo sistema industriale cittadino? Sembra essere questa la domanda che da tempo serpeggia fra gli addetti ai lavori e i politici del capoluogo ligure.
La Superba di storica tradizione mercantile e nell’ultimo secolo di grande industria internazionale, sembra essere ai cancelli di partenza di una corsa che potrebbe, nell’insieme delle molteplici crisi globali e occidentali, rilanciarla quale città in grado di esprimere un sistema produttivo caratterizzante e solido.
Le numerose iniziative che da alcuni anni animano Genova nell’orizzonte di un rilancio industriale, sembrano oggi essere al culmine di una situazione in cui, nonostante le condizioni estremamente sfidanti del mercato, sta emergendo un nuovo modello industriale cittadino.
Dal successo della Shipping Week chiusasi lo scorso fine settimana, all’avvio della Blue Gallery, l’economic forum del mare che ha aperto i battenti ieri, passando per i 170 anni di Ansaldo festeggiati a inizio mese o arrivando al supplier summit di Fincantieri tenutosi nella giornata di martedì all’Acquario, i tessuti industriale e politico genovese sembrano in grande fermento.
Quello che oggi la città si appresta ad affrontare è un radicale rinnovo generalizzato. Le importanti opere infrastrutturali, più vicine, come il tunnel subportuale o la nuova diga foranea, o più distanti, come il Terzo valico e la Gronda, segnano quell’insieme di interventi pubblici che puntano a un rilancio centrale di Genova in un contesto nazionale, europeo e internazionale. Strategia che, leggendola, risuona di Mediterraneo.
Perché è nella riscoperta della centralità dell’economia portuale marittima legata al Mare nostrum che Genova sembra essere concentrata. Con tutti gli insiemi di interessi geopolitici e di connessione con il globo che da sempre il ‘mare in mezzo alle terre’ si trascina dietro. Quello che a Genova, quindi, pare essere in moto, è la costituzione delle condizioni necessarie a ripristinare un ruolo primario in questo scenario.
Ma non è solo al pubblico che Genova guarda. Gli investimenti di gruppi strategici, l’arrivo di infrastrutture digitali come le dorsali marine africane, il posizionamento fra due rigassificatori, l’avvio di conversioni aziendali, la gestione di progetti industriali complessi, sembrano il pane quotidiano delle conversazioni zeneixi.
Sono molti, ad esempio, gli elementi di un dibattito politico e industriale che giornalmente si affaccia su questioni quali lo spostamento dei depositi chimici nel porto, la realizzazione del nuovo Waterfront, il ruolo e il posizionamento delle carpenterie navali, il ribaltamento a mare di Fincantieri, la gestione delle aree logistiche ex Ilva con il futuro dello stabilimento di Cornigliano.
Una trasformazione che più che urbanistica o logistica e industriale, sembra essere divenuta concettuale. Quasi di buona memoria, con la riscoperta di un impulso trainante imprenditoriale (mix fra sogni, coraggio e concretezza) che sembra essere tornata ai fasti degli anni più ruggenti di Genova. Ovviamente a cambiare sono i contesti, precisa chi ogni giorno si districa nella selva di normative, impostazioni politiche, vincoli istituzionali e progettualità d’impresa. Non si è più nel boom economico, con uno stato in grado di fare affidamento sul debito pubblico o in una geopolitica eurocentrica e occidentalizzata.
Anzi, forse alcuni rischi sembrano venire proprio dalla Old Europe un poco dormiente. L’esempio più concreto, bisbigliano gli operatori genovesi, è l’impostazione eccessivamente green dell’Unione europea. Una condizione per molti frutto dell’ipernormazione e della voglia di precorrere i tempi che agitano Bruxelles.
In questo quadro sfidante, condizione che di natura stimola chi impresa la sa fare, sembra che Genova si stia muovendo con l’orizzonte di accrescere il suo ruolo centrale nell’economia internazionale. Con la crescente voglia, fra operatori e istituzioni, di realizzare un nuovo sistema industriale genovese.