di FABRIZIO DE LONGIS
Tre colori sul cuore (verde, bianco e rosso), è lo slogan lanciato dai sindaci italiani radunati questa settimana a Genova per la quarantesima edizione dell’assemblea nazionale dell’Anci. L’Associazione nazionale dei comuni italiani ha scelto il capoluogo ligure per il ritrovo che ha l’obiettivo di fare il punto su cosa serva nel sistema delle amministrazioni cittadine italiane, creare networking e interscambio di buone prassi, ma soprattutto fare sistema nell’insieme del confronto fra le città e lo stato (e con esso l’Europa).
Nell’insieme degli oltre ottomila comuni italiani, la sfida di Anci lanciata a Genova è quella di rinnovare il dialogo sussidiario italiano. Ossia quell’insieme di competenze che per logica, conoscenza del territorio e insieme fra efficacia ed efficienza, è meglio che siano amministrate a livello locale, se non localissimo, piuttosto che da enti distanti, finanche nazionali.
A testimoniare la centralità del tema è stata la sfilata di ministri presenti a Genova, con l’inaugurazione che ha visto la presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
La direttiva sembra essere duplice. Da una parte la scelta, che talvolta diventa tentativo, di attuare un buongoverno della ‘cosa’ pubblica. Dall’altro la chiara esigenza elettorale che ha sempre dimostrato come i veri vettori di preferenze politiche siano e restino le amministrazioni cittadine. Sia quando sono marcatamente partitiche, sia quando si distanziano nella forma del civismo, ma costantemente inquadrate nell’asse elettorale che si snoda fra destra e sinistra.
Sfida che oggi sembra riassumibile nell’attuazione del Pnrr. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è in questi mesi alla prova dell’attuazione, fra i cambi di regia nazionale e la collaborazione con le pubbliche amministrazioni, non di rado prese fra la difficoltà dell’iter burocratico, i tempi stringenti e le carenze di cassa per le parti di cofinanziamento di molti dei progetti essenziali per le comunità locali. Con una costante delle maggiori difficoltà, al ridursi delle dimensioni dell’ente.
Oggigiorno su tutti, i sindaci, come ricordato dallo stesso Mattarella nel discorso inaugurale di martedì a Genova, sono gli uomini simbolo della pubblica amministrazione che troppe volte sembra aver bisogno di eroi e martiri. Segno di resa e sconfitta della democrazia.
In questo senso i sindaci sono coloro che combattano il dissesto idrogeologico (proprio nella notte di lunedì, alla vigilia dell’assemblea Anci, Recco, Rapallo e altre città liguri hanno vissuto lo spettro dell’alluvione). Si impegnano nella gestione sempre più complessa e carente (per risorse) dei servizi alle persone. O accettano la sfida della manutenzione delle città (quasi inattuabile se si commisurano le esigenze ai fondi a disposizione).
Al contempo proprio i sindaci sembrano essere l’ultimo baluardo della tenuta dei voti politici. Proprio l’anno prossimo la Liguria vedrà andare al voto circa il 55% percento dei propri comuni, fra cui solamente tre (Sanremo, Albenga e Rapallo), sopra i quindicimila abitanti, e quindi con il turno di ballottaggio. In contemporanea i cittadini saranno chiamati al voto dell’organo più distante dalla loro vita in termini di legame di interscambio, il più oscuro alla vita quotidiana, ma il più influente di tutti (fra gli organi elettivi), ossia il Parlamento europeo. Elezione in cui si potranno esprimere le preferenze per i candidati.
In quest’asse discrasica fra le elezioni di sindaci di paese, dove conta la persona, dove spesso a essere candidati sono figure quali il medico di famiglia (fra gli ultimi baluardi dell’assistenza pubblica per molti luoghi quali gli entroterra), e l’elezione di personalità politiche a molti sconosciute e del cui operato ancor meno si conosce. Nonché quasi nulla di questo insieme risulta intelligibile al grande pubblico.
In questo bilanciamento, come ha ricordato Mattarella, la politica è chiamata a riattivare i cittadini nella loro coscienza pubblica e quindi anche elettorale. A partire da un voto che sempre di più, con la magrezza delle sue urne, testimonia un disinteresse verso i destini democratici della nazione che rispecchia una chiara e viva delusione verso gli eletti.
Sembra di fatto oggi la sola politica dei sindaci ad essere chiamata a risolvere questo legame sfilacciato, in un disinteresse verso le opportunità elettorali, per la poca responsabilizzazione degli eletti, che a loro volta sono eletti dai sempre meno elettori che continuano a votare. In una delega politica che non perde poteri ma perde senso comune e legame con i cittadini. Esempio di quelli che Shmuel N. Eisenstadt definiva i paradossi della democrazia.
Ed è proprio in questo paradosso che l’Anci sembra volersi e doversi districare. Fra intenti e possibilità, i sindaci a Genova hanno dato vita a un confronto che vuole porre al centro l’esigenza del cittadino quale baluardo dell’operato amministrativo e quindi politico. Nel tentativo di un dialogo nazionale ed europeo che tenga sempre più conto di quanto serva ai cittadini, più di quanto in forma idealtipica sia considerato giusto o progressista (in forme che spesso assumono natura massimalista).
In breve, i sindaci sembrano aver voluto ricordare al governo e all’Europa che prima vengono le esigenze di tutti i giorni degli italiani, e dopo i desiderata di massima espressione intellettuale o di futuribili desideri continentali. Che prima viene l’esigenza di parcheggiare e andare a lavoro, nonché conservare il posto di lavoro, e dopo la decarbonizzazione. Che prima vengono la rivendicazione di avere marciapiedi e strade adeguati e strutture sportive confacenti, e dopo gli orizzonti di città a pura mobilità sostenibile. Che prima servono mezzi pubblici efficienti e sufficienti posti asilo, e dopo vengono le aspirazioni di quartieri isola come richiesto dall’Unione europea.
E non è mancata in questo la differente concezione dell’amministrazione cittadina fra i molti sindaci di piccole realtà provinciali (spesso tacciati di provincialismo) e i pochi delle grandi città, apparsi troppo di frequente dediti all’organizzazione di grande insieme e poco al dettaglio.
Insomma, partendo da uno slogan che sembrava essere solamente nazional-popolare e quasi retorico, dalla kermesse genovese che chiuderà i battenti oggi, sembra essere arrivata una richiesta di concretezze e di realtà quotidiana che spesso, oggi, sembrano proporre solamente i sindaci. Nel bene e nel male. E soprattutto i sindaci di provincia. Con la chiara testimonianza che le urne, sempre più scarne, mettono sul piatto di chi di politica campa (di rado i sindaci).