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di MATTEO MUZIO *
Il mese di novembre 2025 ha portato brutte notizie per i repubblicani. L’ultimo verdetto, quello di Miami, è stato definitivo: la città simbolo della comunità cubana ha scelto Eileen Higgins, democratica moderata, come nuova sindaca.
Con il 59% dei voti ha battuto Emilio Gonzalez, candidato sostenuto da Donald Trump già City Manager cittadino, quindi un personaggio con un certo profilo da amministratore esperto. Una sconfitta pesante, proprio nel luogo dove il presidente ha deciso di costruire la sua biblioteca presidenziale una volta terminato il suo secondo mandato.
Chi è la nuova sindaca? Sessantunenne, originaria del New Mexico, dal 2018 siede nel consiglio della contea di Miami-Dade, che governa un’area metropolitana di tre milioni di abitanti. In un distretto a maggioranza latina e lievemente conservatore, si è fatta conoscere come “La Gringa”, soprannome che l’ha resa familiare a chi temeva di storpiare il suo nome.
La sua vittoria segna la fine dell’era di Francis Suarez, figlio d’arte di Xavier, primo cittadino tra 1989 e 1993, sindaco uscente, che aveva puntato su un modello fortemente liberista: tasse quasi azzerate, grande libertà per costruttori e immobiliaristi e piena fiducia nelle loro capacità. Un modello che ha riqualificato quartieri e ridotto i senzatetto, ma che ha lasciato il 56% dei residenti, secondo i dati statistici, a vivere con il fiato corto, da una busta paga all’altra. Higgins ha fatto leva proprio su questo: il costo della vita e degli immobili che costringe i residenti a restringere la loro capacità di spesa.
Il messaggio ha colpito nel segno anche tra cubani, venezuelani e nicaraguensi, comunità che guardano, comprensibilmente, con sospetto a qualsiasi richiamo al socialismo che ricorda loro i regimi autoritari da cui sono fuggiti, oltre cinquant’anni fa ma anche qualche mese addietro. Un segnale preoccupante da parte di un elettorato che, a differenza di altre comunità di origine latino-americana, che ha sempre visto con favore l’anticomunismo viscerale dei repubblicani, con la segreta speranza dell’abbattimento di dittatori come Fidel Castro che li avevano costretti a dolorosi esili.
Higgins ha scelto una campagna “orgogliosamente democratica”, ma senza legarsi al partito nazionale né accettare endorsement di figure note a livello nazionale, meno che mai di averli al proprio fianco sul palco di un comizio. Una strategia semplice e diretta, che ha funzionato. Ora la città guarda al futuro con qualche interrogativo: cosa accadrà al G20 del 2026 previsto al Trump Golf Club? E alle partite del Mondiale di calcio?
In teoria nulla dovrebbe cambiare, se fossimo in tempi ordinari, ma l’esperienza insegna che Trump non esita a rivedere accordi se le condizioni non gli piacciono più. Più in generale, la Florida non appare più una roccaforte repubblicana granitica. I democratici hanno mostrato segni di vitalità: forse non vinceranno subito il seggio al Senato o la poltrona di governatore, ma possono rendere la partita competitiva e costringere i repubblicani a difendersi su più fronti e a dirottare risorse da altri stati, rendendo più difficile la conservazione della doppia maggioranza alla Camera e al Senato di Washington.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)