di ALBERTO BRUZZONE
Giusto o non giusto abbattere i cinghiali? E giusto o non giusto farlo anche all’interno delle città? In questi giorni sta facendo discutere, e anche molto, il cosiddetto emendamento Foti, che è contenuto nella Legge di bilancio e che apporterà modifiche alle procedure del controllo faunistico, ovvero alle pratiche che permettono il contenimento del numero degli animali selvatici, che causano problemi alle attività antropiche, attraverso la caccia. La proposta, che dovrebbe servire a eliminare i cinghiali in sovrannumero che si spingono anche nelle aree urbane, è stata considerata ammissibile. Questo nonostante la materia che si discosta dal contenuto della manovra. E, oltre a ciò, potrebbero sorgere conflitti con altre norme, in particolare con quelle europee e quelle che regolano la protezione delle specie in estinzione.
L’emendamento è stato presentato dal deputato Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ed è stato approvato in Commissione Bilancio il 21 dicembre. Introduce una modifica all’articolo 19 della legge n. 157 del 1992 sul prelievo venatorio e la protezione della fauna selvatica. Con questo termine si intende “l’insieme delle specie di mammiferi e uccelli dei quali esistono popolazioni che vivono in stato di naturale libertà, stabilmente o temporaneamente, sul territorio nazionale o vi sostano per brevi periodi”.
Rientrano nella definizione, dunque, tutti gli animali non domestici e non allevati. Fatta eccezione per ratti, topi, arvicole e talpe, il resto della fauna selvatica si divide tra animali a protezione totale, che non possono essere cacciati, e altri per i quali è possibile un prelievo legale che deve rispettare modi, tempi e numero massimo di esemplari, al fine di salvaguardare le popolazioni presenti sul nostro territorio.
Il nuovo emendamento consentirà però alle Regioni di provvedere al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alle caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, come i parchi cittadini, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. Questo al fine di salvaguardare la biodiversità, la salute pubblica, l’incolumità delle persone, la sicurezza stradale e tutelare il patrimonio storico e artistico.
Se le attività ordinarie di controllo delle popolazioni animali dovessero risultare inadeguate a fare fronte a situazioni straordinarie, come l’emergenza cinghiali in diverse città, le Regioni potranno dunque autorizzare piani di controllo, della durata di cinque anni, che prevedranno l’abbattimento e la cattura degli esemplari in sovrannumero, informando prima l’Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale.
Questo tipo di intervento non costituisce attività venatoria, e dunque non è assimilabile alla caccia. Tuttavia le attività potranno essere svolte anche da cacciatori locali, a patto che siano regolarmente iscritti e agli ambiti territoriali e che frequentino prima dei corsi di formazione specifici. Gli animali abbattuti, viene specificato nell’emendamento, potranno essere consumati a tavola se supereranno le dovute analisi igieniche e sanitarie.
Sono norme sulle quali il mondo ambientalista si è già messo di traverso, e pure con un certo vigore. Massimo Maugeri, referente di Legambiente nel Tigullio, osserva: “C’è molta Liguria, in questa proposta, visto che siamo tra le regioni maggiormente interessate dal sovrannumero dei cinghiali e visto che qui gli ambienti venatori sono molto tutelati, come insegna molto bene la vicenda del Parco di Portofino. Peccato che la politica si svegli ora, con un provvedimento tardivo e sbagliato, e sia stata in grado di fare poco o nulla, e di sbagliare completamente quel poco, a proposito di contenimento della peste suina”.
Secondo Maugeri, “il problema non è abbattere o non abbattere il cinghiale in città. Il fatto è che il cinghiale in città non ci dovrebbe neanche arrivare. La caccia in città e nei parchi è sbagliata. I cinghiali vanno ridotti, anche uccidendone una parte, su questo siamo d’accordo. Ma la misura giusta è l’abbattimento selettivo. Cacciare i cinghiali nei parchi protetti, invece, significa mettere in discussione i parchi stessi. Peccato che in Liguria questo emendamento alla Legge di bilancio sia stato accolto già con un certo favore. E questo fa esattamente il paio con tutta l’ostilità manifestata rispetto all’istituzione del parco nazionale di Portofino”.
Il rappresentante di Legambiente attacca: “Quello dei cinghiali è un argomento divisivo, che invece andrebbe affrontato con unità e soprattutto con una visione scientifica. Non serve a nulla l’approccio politico, non serve far dei piaceri a determinate categorie. Così come non sono serviti a nulla i recinti contro la peste suina, se non a spendere un sacco di soldi pubblici. Ma ogni provvedimento della destra deve andare contro a qualcosa, non è mai mirato a curare e risolvere un problema. Abbattere i cinghiali in questo modo va contro i parchi e contro la scienza”.
Ma quanti sono oggi i cinghiali in Italia? Le popolazioni di ungulati stanno crescendo a dismisura. Difficile dire quanti siano davvero i cinghiali nel nostro paese. Le stime dell’Ispra indicano che si sarebbe passati da 500 mila individui nel 2010 a oltre un milione nel 2020. Coldiretti ritiene che nel 2022 siano addirittura 2,3 milioni. Questa specie è particolarmente feconda, si adatta facilmente a ogni ambiente, possiede un’elevata mobilità e ha comportamenti gregari. Tutti tratti che ne hanno reso possibile la crescita esponenziale negli ultimi anni. Il progressivo abbandono di aree coltivate dell’Appennino e delle Alpi, la mancanza di grandi predatori e le nuove tecniche agricole, più rispettose dell’ambiente e degli ecosistemi, hanno dato un’accelerazione alla riproduzione dei cinghiali. Tanto che nel nostro paese, e in altre zone d’Europa, si parla di una vera e propria emergenza. Che causa problemi su diversi fronti. Da una parte i cinghiali danneggiano le attività umane e causano incidenti in città, dall’altra rappresentano una bomba a orologeria sanitaria. E un dibattito costantemente aperto.