di ANTONIO GOZZI
Gli uomini di affari di tutto il mondo si interrogano sulla prospettiva economica.
In alcuni settori dell’economia, in particolare in quelli che sono considerati ‘indicatori di ciclo’: acciaio, altri metalli, materie prime, noli marittimi, si sono raggiunti livelli di prezzo mai visti prima, con le quotazioni spesso raddoppiate, triplicate, in alcuni casi quintuplicate rispetto a quelle di un anno fa.
Rispetto a questi prezzi mai raggiunti nella storia tutti gli addetti ai lavori si chiedono: fino a quando durerà?
La situazione descritta, che qualche problema crea a valle nei settori trasformatori e nelle catene logistiche, si spiega con la ripartenza impetuosa dell’economia mondiale all’uscita dalla crisi pandemica. Un gigantesco effetto ‘molla’ che ha investito tutte le aree del mondo: l’Asia con alla testa la Cina, gli Stati Uniti d’America e la stessa Europa che, sia pure più lentamente degli altri, sta dando importanti segnali di ripresa.
Ancora una volta accanto ai fondamentali reali, quali il gigantesco rimbalzo della domanda di consumi e investimenti a lungo bloccati dalle fermate e dai lockdown dovuti al Covid, pesano in economia le aspettative e la psicologia e quello che viene definito il sentiment degli imprenditori, che dell’economia sono i veri attori protagonisti.
Il ruolo delle aspettative psicologiche sull’economia è al centro di molti studi recenti tanto che in almeno due casi negli ultimi venti anni il Nobel dell’economia è andato a studiosi che si sono occupati dell’argomento, Kahneman nel 2002 e Thaler nel 2017.
La mia convinzione è che la straordinaria vicenda scientifica della scoperta dei vaccini in tempi brevissimi, i risultati assai positivi delle campagne vaccinali là dove queste sono state condotte con metodo e intensità, il gigantesco salto compiuto nel mondo con la scoperta obbligata della digitalizzazione, dello smart working ecc., gli annunci di poderosi interventi degli Stati, la voglia di ripartire e di ritornare alla normalità abbiano creato una situazione positiva di fiducia e di voglia di fare, un ottimismo talvolta più della volontà che della ragione che sta spingendo il mondo.
Già il grande John Maynard Keynes quasi cento anni fa scriveva “A prescindere dell’instabilità dovuta alla speculazione, vi è un’instabilità di altro genere, dovuta a queste caratteristiche della natura umana: una larga parte della nostra attività positiva dipende da un ottimismo spontaneo piuttosto che da un’aspettativa in termini matematici, un’aspettativa che potremmo definire sia morale che edonistica che economica. La maggior parte forse delle nostre decisioni di fare qualcosa di positivo, le cui conseguenze si potranno valutare pienamente soltanto a distanza di parecchi anni, si possono considerare soltanto come risultato di tendenze dell’animo, di uno stimolo spontaneo all’azione invece che all’inazione, e non come il risultato di una media ponderata di vantaggi quantitativi, moltiplicati per probabilità quantitative”.
Keynes era un grande conoscitore e estimatore di Freud, e nelle sue opere sono numerosi i richiami alle nuove scoperte del padre della psicoanalisi.
Oggi l’economia mondiale sembra appunto sorretta da questo poderoso sentiment positivo, che spinge gli imprenditori e le imprese a ‘crederci’ e a immaginare un futuro prossimo, almeno tutto il 2022, ancora in crescita. Basta leggere le interviste rilasciate negli ultimi giorni da molti esponenti del mondo imprenditoriale, tutte assolutamente concordi su questa visione positiva.
Sulla fiducia di imprenditori e operatori economici in genere pesa anche, come detto, la consapevolezza che enormi risorse pubbliche sono state messe e saranno messe ancor più nei prossimi mesi dagli Stati a sostegno delle economie colpite dal Covid.
Il ragionamento che viene fatto è il seguente: se oggi le economie tirano così tanto senza ancora il dispiegarsi degli effetti degli interventi pubblici, cosa succederà quando i vari piani previsti dagli Stati entreranno in funzione?
Lo stato di grazia di cui sopra vale anche per l’Italia.
Al di là della straordinaria performance olimpica, che comunque dà fiducia e ottimismo nei nostri mezzi, l’economia del nostro Paese vedrà un PIL in crescita di quasi il 6% nel 2021. Per la prima volta da 20 anni l’Italia è il Paese europeo che cresce di più.
Anche in questo caso forza delle aspettative e della psicologia? Certamente sì.
Con l’avvento di Mario Draghi a Palazzo Chigi, per il prestigio e credibilità internazionale dell’uomo (lo spread con i Bund tedeschi non è mai stato così basso) e per lo stile pragmatico a cui ha improntato la sua azione di governo, il mondo dell’economia e imprenditoriale ha riacquistato fiducia e ottimismo, e questa attitudine si è immediatamente riflessa sulle decisioni di investimento e sulle performance della produzione industriale sorrette certamente anche da una forte domanda estera.
A giugno (dati Istat) la produzione industriale italiana ha raggiunto i livelli pre-Covid. E ciò che colpisce è che un’economia fino a ieri ultima della classe in Europa, eccezion fatta per le esportazioni, sempre importantissima stampella dell’economia italiana, mostra una forza che non vedevamo da tanto tempo.
La crescita si tramuterà in occupazione e il solo grande problema al riguardo è che le imprese fanno fatica a trovare personale con gli skills necessari all’industria di oggi.
Il 2022 dovrebbe essere l’anno in cui inizieranno a sentirsi gli effetti degli investimenti del PNRR. Quindi ai fondamentali di mercato, che come visto sono estremamente positivi, dovrebbe aggiungersi l’effetto moltiplicatore delle risorse europee tutte destinate a investimenti in transizione ecologica, digitalizzazione, infrastrutture. Ricordiamoci sempre che nessun Paese dell’UE ha a disposizione una massa di denaro così grande come quella attribuita all’Italia.
Ovviamente bisognerà spenderlo bene, anche perché una parte di esso è a debito, e fare le riforme che l’Europa ci chiede come unica condizione per mettere a disposizione queste ingentissime risorse.
Tutto bene allora?
Sorridendo, ma non troppo, si potrebbe dire che secondo la legge di Murphy quando le cose vanno bene l’unica cosa che può succedere è che improvvisamente si mettano ad andare male. Naturalmente tocchiamo ferro e non vogliamo fare i profeti di sventure ma il mese di agosto, per gli uomini d’affari, è storicamente un mese pericoloso nel quale, forse perché sono in vacanza e lontani dal ponte di comando, sono particolarmente nervosi. Agosto è un mese in cui spesso sono accadute cose spiacevoli che hanno cambiato il corso degli eventi, un mese in cui all’improvviso tante volte è comparso un black swan, un cigno nero, annunciatore e portatore di sventure.
Ve la ricordate la crisi dei mutui sub-prime dell’agosto del 2008?
Tutti si chiedono se potrebbe essere così anche questa volta. E la risposta è no. Come detto i fondamentali dell’economia mondiale sono forti e sani, la finanza mondiale è un po’ meno disorganizzata e impreparata di allora e nulla di brutto, tale da far pensare a sciagure imminenti, si prospetta all’orizzonte. E poi quando i lettori leggeranno queste pagine già quasi metà del mese di agosto sarà passata e ci avvicineremo velocemente alla ripresa delle attività.
Un solo tema preoccupa: un’esplosione incontrollata della variante Delta potrebbe cambiare radicalmente il quadro; e negli Usa da questo punto di vista le ultime settimane sono state brutte.
Per questa ragione bisogna continuare nello sforzo vaccinale, senza sosta e senza tentennamenti, convincendo anche gli ultimi indecisi ed essendo rigidi sulla protezione della collettività a partire da quella scolastica. L’Italia finora ha fatto bene e la macchina messa in moto dal Governo Draghi e dal generale Figliuolo ci ha consentito, anche in questo caso, di essere tra i migliori d’Europa.
Oggi è fondamentale che i paesi ricchi sostengano e aiutino quelli poveri nei quali le vaccinazioni hanno coinvolto fino ad ora solo percentuali molto piccole delle popolazioni. Il mondo, nonostante tutto, resta globale e il Covid va sconfitto dappertutto se vogliamo davvero sperare in anni buoni per il futuro.