di NICOLÒ PAGLIETTINI
Amo la mia città, i suoi carruggi, la passeggiata mare, amo il suo essere romantica e riflessiva, amo i profumi, i sapori e i rumori di chi qualche volta si dimentica di quanto siamo privilegiati a vivere qui.
Ogni tanto, però, capita di arrabbiarmi, di provare delusione e di chiudermi in me stesso. Perchè cosi tanta diffidenza nei confronti della diversità? Perché nel 2018 si parla ancora di abbattimento di barriere mentali e architettoniche?
Sento dire che la figura delle persone disabili in questi ultimi anni è cambiata, che esempi positivi sono riusciti ad attribuirgli dignità e valore sociale. Eppure a me sembra che di strada da fare ce ne sia ancora tantissima per arrivare a una realtà di integrazione non solo di facciata, ma che sia in grado di accogliere le persone mettendole nelle condizioni ideali per esprimere la propria individualità. Se mi chiedessero di raccontare qualche episodio della mia vita in cui mi sono trovato in difficoltà, forse, non saprei neanche da dove cominciare, ma partirei da una parola che ha accompagnato il mio percorso di crescita spronandomi giorno dopo giorno nella ricerca di una vita che sia solo mia. Questa parola risponde al nome di autonomia.
L’autonomia rende liberi, anche se di ostacoli da affrontare ce ne sono tanti e non sempre si ha così tanta voglia di combattere. Questo aspetto, però, è essenziale, perchè se c’è una cosa che ho capito è che se nasci con una disabilità, non ti puoi mai accontentare, rilassare, arrendere. Questa è la vita e allora viviamo. Chiedere aiuto è una cosa difficile e bella al tempo stesso. Il problema è che quando si fa una domanda, spesso, si presuppone una risposta ed è qui che arrivano le prime difficoltà.
Molte volte mi capita di prendere il pullman e nel Levante, così come nel resto della Regione, non esistono segnali acustici atti a far capire alla persona con disabilità visiva quale autobus stia per arrivare ed è così che molto spesso sono costretto a buttarmi senza alcuna garanzia di essere sul veicolo giusto. In questi casi la cosa più semplice da fare sarebbe quella di chiedere agli autisti il numero del pullman su cui ci si trova, tuttavia più di una volta, pur essendo munito del famigerato bastone bianco ben aperto e visibile, mi è stato risposto ‘C’è scritto lì sopra’.
Non si tratta di essere permalosi o di prendersela per qualche frase a vuoto, qui si tratta di far capire che prendere il pullman (così come gli altri mezzi) per chi non ci vede è una vera e propria impresa e, senza qualche aiuto, si rischia di costringere le persone a chiudersi in casa per paura.
Sapete, a questo punto mi è venuta un po’ di fame e allora tuffiamoci nella giungla dei supermercati. Chiariamoci subito, fare la spesa in autonomia, per chi non vede, è praticamente impossibile. Sul nostro tragitto troviamo disseminati scale, carrelli e pacchi. E io come faccio a scegliere il prodotto corretto senza sapere come e dove sono posizionati? Chi mi legge i prezzi o mi ragguaglia sulle offerte del giorno? Perchè se chiedo un etto di prosciutto senza sapere che ne vendono uno in offerta mi viene venduto il più caro?
Spostiamoci di pochi metri e proviamo ad entrare in un panificio: l’ambiente sembra più accogliente anche se molto caotico. La prima impresa è cercare di trovare la macchinetta per prendere il numerino e vi assicuro che senza un percorso in rilievo segnato non è facile. Una volta trovata, bisogna che qualcuno ci legga che cosa abbiamo estratto e che numero siamo. Perché quando entro in un bar e chiedo con estrema gentilezza che panini ci siano, mi viene risposto ‘Tutti quelli che vede esposti’.
Perché se entro alle poste o in alcune banche devo prendere un numerino digitando su uno schermo touch senza sintesi vocale? Come faccio? E poi, scusate, come lo trovo lo sportello corretto se tutte le indicazioni sono visive? Come posso attraversare la strada in sicurezza se manca il cicalino in ogni semaforo della città?
Non so se qualcuno risponderà mai a queste mie domande, ma ci tengo a dire che per renderci la vita più facile non esistono libri o grandi manuali, basterebbe solo un pizzico di buon senso e di sensibilità. Già il buon senso, proprio quel buon senso che dovrebbe far sì che le persone non posteggino la propria auto nel posto dei disabili se sprovvisti di tesserino o che ricordino di raccogliere i bisogni dei nostri amati amici a quattro zampe quando li si porta a spasso perché poi arrivo io e quasi ogni giorno mi ritrovo le suole delle scarpe sporche. Il buon senso dovrebbe fermare chi posteggia la macchina sul marciapiede anche solo per pochi minuti o chi non segnala a sufficienza i lavori per la strada.
Nella mia vita sono caduto tante volte e ogni tanto ho sentito male e qualche risata di scherno. Il giorno dopo tornavo in quel posto e rifacevo lo stesso tragitto per dimostrare a me stesso che si era trattato solo di un normale incidente di percorso. Da quasi tre anni ho l’onore (e l’onere) di essere Presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Chiavari e mi sono accorto che troppe persone si lasciano sopraffare dalla difficoltà, sentendosi inermi di fronte a un mondo incosciente che non è a loro misura.
Sono Nicolò Pagliettini, ho 24 anni, non ci vedo e vivo a Chiavari. La mia vita è piena di gioie e soddisfazioni, ma anche di sfide e a volte dolori. Affronto la mia giornata sempre alla ricerca dell’autonomia e, nonostante persone, situazioni e alcune realtà cerchino di farmi credere il contrario, sono convinto che non si possa ridurre una persona solo in base alla disabilità di cui è portatrice. Le persone disabili non sono eroi ed eroine, non sono meglio o peggio di altri, sono però persone estremamente coraggiose che, malgrado tutto, cercano di fare della loro vita il meglio che possono.