Venerdì 28 ottobre alle ore 17, presso l’Auditorium San Francesco di Chiavari, viene presentato l’ultimo libro di Giorgio ‘Getto’ Viarengo: ‘Ottobre 1922. Il Tigullio nei giorni della Marcia su Roma’, pubblicato da Internòs Edizioni. Insieme all’autore ne parlano Luca Borzani, storico, Antonella Ortelio, responsabile Cgil del Tigullio e Golfo Paradiso, e Igor Magni, segretario generale della Camera del Lavoro Metropolitana di Genova. Anticipiamo un estratto dal volume, su concessione dell’editore e dell’autore.
di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Cento anni dalla Marcia su Roma.
Un tempo molto lungo, capace d’assopire la memoria storica di una comunità, di rendere non più visibili le cronache lontane di uomini che seppero lottare per contenere la violenza fascista e il loro progetto liberticida. Furono sconfitti e le vicende del 28 ottobre 1922 segnarono così quel confine che portò il Paese verso la dittatura, in un cammino disseminato di provvedimenti a salvaguardare una classe dirigente capace di cancellare ogni forma d’opposizione, assassinando i dirigenti politici dell’opposizione, varando leggi per confermare il solo potere dell’ideale fascista che si era fatto Stato.
Ancora una volta cercherò di rileggere quei fatti nazionali, che videro l’intero Paese sconvolto, accendendo la luce sul territorio dove noi viviamo, per cercare di capire cosa successe nel Tigullio in quei tristi giorni. La ricerca farà riferimento a diverse pubblicazioni già realizzate, un’antologia da ripercorrere con nuovi riferimenti e documentazioni che potranno aiutarci a capire e, soprattutto, ricordare.
Noi spesso richiamiamo il significato della parola memoria, utilizzata per sottolineare un impegno culturale e politico, memoria come consapevolezza d’appartenere a quella storia e volerla sostenere, condividere. Qui una prima riflessione: dopo cento anni è possibile riaccendere quell’attenzione, riuscire a richiamare le migliori forze del nostro sapere, delle cronache storiche e trasformarle in rinnovato impegno culturale. Si tratta di una prova ardua, difficile, ma assolutamente indispensabile se desideriamo sostenere il valore della nostra libertà e della democrazia, libertà e democrazia costruite battendo il fascismo.
In queste valutazioni è leggibile il significato dell’essere antifascisti, c’è chi obbietta che il fascismo non esiste più ed è stato sconfitto, ma la nostra Costituzione è nata come baluardo che guarda verso il futuro, dove le libertà democratiche debbono essere sempre salvaguardate e, di conseguenza, non può non essere che antifascista. Nella nostra storia il riferimento ideale e la salvaguardia delle libertà democratiche sono scritti nella Carta Costituzionale nata dalla Resistenza, qui, ancora una volta, il significato non scindibile dell’essere antifascisti.
Per comprendere la tensione di quei giorni lontani rileggeremo carte e documenti, articoli di giornali e documentazioni fotografiche, per ritrovare il mondo del lavoro in lotta per giusti diritti, per costruire una società nuova dopo il disastro della prima Guerra Mondiale. Non è un caso che la nostra Costituzione abbia scelto, sin dal primo articolo, di orientare un’ideale che appare eterno e indissolubile: la democrazia italiana si fonda sul lavoro. Ecco come il tempo si abbrevia, come quei cento anni passano veloci e ci obbligano a non dimenticare, quando il fascismo fattosi dittatura uccise la democrazia per cancellare i diritti del lavoro.
Dopo il primo conflitto mondiale il Paese si ritrovò dilaniato in interminabili emergenze sociali e politiche, le vicende non garantivano un governo capace d’affrontare le questioni che segnavano la crisi. Emerse così l’uomo forte, il partito dei fatti senza parole, lo squadrismo come elemento risolutivo della battaglia politica, in un momento in cui lo Stato e la Monarchia non seppero imporsi a salvaguardia della democrazia, ma cedette la guida del Paese al fascismo. Quel metodo autoritario e liberticida dilagò, superò i confini e fu apprezzato e imitato da altri ‘uomini forti’, seppe evolversi trovando metodi applicativi sempre più criminali, arrivando ad applicare le leggi razziali come strumenti di controllo della società e l’uso del conflitto bellico come risolutore dei propri progetti espansivi.
La tragedia delle dittature del Novecento appare come un cataclisma pauroso, ogni pagina di quella storia fu deliberatamente decisa e approvata da uomini, come avrà a scrivere Hannah Arendt, ‘normali’ e capaci di portare l’intero continente europeo nel baratro. In questo quadro cercheremo di capire come si mossero le vicende nel Tigullio, ricostruendo cronache e protagonisti di quella storia che trovava consenso nelle nostre comunità, imitando in modo convinto quanto accadeva nelle grandi città italiane. Da Portofino a Moneglia, da Chiavari all’intero entroterra il fascismo dilagò, lo squadrismo scese in campo con i suoi manganelli e chiuse le sedi del sindacato, le camere del lavoro devastate e i partiti d’opposizione messi fuori legge. La storia ci restituisce le immagini documentarie dei minacciosi fascisti alla presa di Roma, ma il Tigullio non fu da meno, per conoscere quei giorni bisogna ricercare per ricostruire: il grande rischio potrebbe esse l’oblio e il liquidare il tutto con un qui non è successo niente!
(* Studioso attento e cultore di storia locale)