di MATTEO GERBONI
‘Metti via quel cellulare’, l’ultimo libro di Aldo Cazzullo ha un titolo che suona come un ritornello. Quando volte ce lo siamo sentiti dire dai nostri genitori, quante volte lo abbiamo detto ai nostri figli. Tante, troppe. Il giornalista ha preso carta e penna, parlando chiaro ai suoi due figli Francesco e Rossana: “Non è possibile che, quando entriamo in pizzeria, anziché i vostri volti mi vedo davanti i vostri cellulari. Non è possibile che, quando andiamo in un albergo, come prima cosa voi due chiedete la password del wi-fi”.
Basta vivere con gli occhi bassi sul telefonino, basta rifiutare il dialogo con i genitori, ma per evitare l’effetto predica, Cazzullo ha coinvolto i propri eredi nella discussione. “Figli che – spiega – non sono nativi digitali, perché hanno imparato a scrivere e a leggere su supporti cartacei prima che sullo smartphone”. E sono loro, nel libro e nella vita vera, a prendere le difese del cellulare, spesso un alibi usato dai genitori – come un tempo lo era la televisione – che non sono più in grado di comunicare con i propri figli per i troppi impegni o per stanchezza.
Metti una serata di mezza estate nella splendida cornice di Villa Porticciolo a Rapallo con uno dei narratori di costume più importanti del nostro tempo (che ha deciso di accogliere l’invito della Tigulliana). Un giornalista che va controcorrente, che si estrae dalla massa. Non a caso il ‘Corriere della Sera’ ha affidato a Cazzullo il compito, che fu di Indro Montanelli, di rispondere alle lettere dei lettori (“la stragrande maggioranza tratta il tema dei migranti e questo deve far riflettere”).
Ama visceralmente il Bel Paese e specchiandosi nelle luci del nostro mare ammette che “il Golfo del Tigullio definisce l’identità della nostra Italia con i suoi panorami, la sua storia, la sua cultura”.
Saggio, intelligente, ironico, ma anche decisamente alla mano, diretto, concreto, con una proprietà di linguaggio capace di rendere accessibili anche i concetti meno intuitivi: “Il cellulare – sorride amaramente – è per i nostri ragazzi un trampolino per gettarsi in quel mare che è la rete, ma quel terminale resta sempre uno specchio perché l’immagine è la nostra. Ogni ricerca, ogni click immagazzina dati che ci vengono riproposti quando navighiamo. Dobbiamo saper dominare la tecnologia. Oggi essere ignoranti è diventata una virtù. Si percepisce parlando con i giovani che studiare non serve a nulla, tutte le informazioni vengono assorbite unicamente navigando in rete”.
‘Piazza Levante’, un settimanale online glocal e no social, Cazzullo approva: “Le fake news sono sempre le più lette sui social, Trump non sarebbe diventato presidente, senza i suoi tweet. E’ diventato un modello per il nostro tempo, ha saputo andare contro la casta nel modo giusto, sfruttando la rete. Ridevano di lui, ma alla fine ha vinto”.
Oggi a Treviso esiste un ‘Campus’ per ‘nativi digitali’ da tre a venticinque anni: “Un padre mi raccontava che suo figlio a tre anni sa già digitare Youtube sull’iPhone – ammette – questa sarà una generazione che crescerà senza aver giocato a pallone con il proprio padre o aver letto un libro. Noi non eravamo sempre connessi e questo ci ha dato modo di esercitare la fantasia. Non avevamo Wikipedia; e questo ci ha allenato la memoria. Non eravamo prigionieri della rete come criceti nella ruota; e questo ci ha insegnato ad assaporare il tempo, a volte persino la noia”.
Un velo di nostalgia: “Il 700 è stato il secolo del teatro, l’800 dei romanzi, il 900 del cinema e della televisione, tutto fatto a pezzi, oggi impera un sapere parcellizzato e frammentato, con la conseguenza che le giovani generazioni non sanno assaporare il tempo, ma vivono l’immediato e il presente, senza coscienza storica. La rete non crea malessere, lo intercetta e lo sfrutta ed è fasullo pensarla come un network di partecipazione dal basso perché non si viene innestata sul mondo della partecipazione degli anni ‘60, ma piuttosto sul riflesso narcisista dei decenni successivi”.
Il sapere un tempo si comunicava attraverso il racconto: “Ho imparato da mio nonno macellaio ad Alba – ricorda Cazzullo – cosa fosse la Resistenza, oggi invece il sapere è orizzontale e indistinto. Sono stato in una scuola superiore di Cuneo con ragazzi dell’ultimo anno e nessuno sapeva la storia dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. In più una volta, ai tempi della rivoluzione industriale, i padroni erano i cattivi, oggi invece Mark Zuckerberg o Steve Jobs sono diventati gli eroi buoni, segno della mancanza di una prospettiva critica”.
Il cellulare è diventato come una protesi del nostro corpo, fa tutto. Telefonate, messaggi, internet, sveglia, macchina fotografica, telecamera e calcolatrice: “Tutte cose che si fanno da soli. La rivoluzione digitale è il più grande rincoglionimento di massa nella storia dell’umanità. Non soltanto distrugge lavoro e crea falsi idoli, arricchendo miliardari californiani restii a pagare le tasse; distrugge un patrimonio di cultura e di civiltà. Secoli di letteratura, arte, musica entrano nel cellulare, vengono fatti a pezzi e gettati in aria come coriandoli. Il meglio di quel che l’uomo ha scritto, dipinto, composto, pensato viene triturato e ridotto a frammenti, destinati a perdersi nell’oceano delle sciocchezze e delle falsità. Non vedo libri, giornali, dvd, cd in mano ai giovani, e neppure ai trentenni. Non li vedo al cinema, a teatro, all’opera, allo stadio. Perché un film dura due ore, una partita novanta minuti più recuperi; i filmati su YouTube dopo pochi secondi hanno già annoiato”.
Ma esiste una speranza, esaltare il talento che ognuno di noi possiede. Cazzullo abbozza un sorriso: “Per fortuna alla fine conta l’uomo, e ogni persona ha un talento diverso da tutti gli altri. Qualche giorno fa alla stazione Centrale un bigliettaio mi ha cambiato il biglietto in pochi minuti facendomi prendere un treno prima. Era strapieno, è riuscito a trovare l’ultimo posto disponibile. Mi ha detto: “Ha visto come sono stato bravo”. Quell’uomo ha il potere di cambiare la vita a tante persone perché sa sfruttare il suo talento”. “Metti via quel cellulare”, che dite proviamo?