di ALBERTO BRUZZONE
“Se vogliamo interrompere la catena del virus, bisogna vaccinare tutti. E ci sono pochi discorsi da fare. Non vedo altre soluzioni. Si è usciti dal vaiolo, che era una malattia con notevoli complicanze anche respiratorie, con la vaccinazione di massa. La strada, pure con il Covid-19, dev’essere la medesima”.
Lo spiega, in questa intervista a ‘Piazza Levante’, il professor Elio Castagnola, primario del reparto di Malattie Infettive dell’ospedale pediatrico ‘Giannina Gaslini’ di Genova. Il medico, noto per la sua lunga preparazione ed altrettanto lunga esperienza, oltre che per la chiarezza e la capacità di sintesi anche dei concetti più complessi, parla della prospettiva di aprire il percorso vaccinale anche alla fascia di bambini compresi tra i 5 e gli 11 anni di età, e inoltre commenta la recente decisione da parte dell’Iss, l’Istituto Superiore di Sanità, di dare il via libera all’inoculazione anche nelle donne in stato di gravidanza.
In una nota, infatti, l’Iss ha scritto: “In considerazione delle crescenti evidenze sulla sicurezza della vaccinazione in gravidanza sia nei confronti del feto che della madre, delle nuove evidenze relative alla maggiore morbosità associata alla variante Delta, della crescente circolazione della stessa variante e del notevole abbassamento dell’età mediana all’infezione in Italia, l’Iss aggiorna le precedenti indicazioni ad interim raccomandando l’estensione dell’offerta vaccinale, con vaccini a mRNA, a tutte le donne in gravidanza nel secondo e terzo trimestre che desiderino vaccinarsi”.
Per quanto riguarda i primi tre mesi, invece, “sebbene la vaccinazione possa essere considerata in qualsiasi epoca della gravidanza, ad oggi sono ancora poche le evidenze relative a vaccinazioni eseguite nel primo trimestre. Le donne che desiderino vaccinarsi in questa epoca gestazionale devono valutare rischi e benefici insieme a un sanitario anche alla luce dell’evidenza che la febbre, che rientra tra le possibili reazioni al vaccino, può causare un aumento del rischio di malformazioni congenite”.
Professor Castagnola, come commenta questa decisione da parte dell’Iss?
“Dico che era l’ora che venisse presa e scritta questa decisione, perché nei mesi scorsi è stato lasciato troppo spazio all’arbitrarietà. Ci hanno messo sin troppo a decidere, ma meno male che lo hanno fatto e meno male che lo hanno fatto in questa direzione”.
Perché è importante che le donne in gravidanza si vaccinino?
“Sostanzialmente per due motivi: perché, in quanto in gravidanza, corrono più rischi nel caso in cui contraggano la malattia, perché possono contagiarsi anche in maniera piuttosto grave; e perché non possiamo sapere che cosa capiterà a un neonato che si è infettato con il virus. Dobbiamo difendere la gestante in tutti i modi, prendendo ogni cautela, e il vaccino è una cautela. Il Covid-19 si manifesta, tra le principali situazioni, con la febbre, anche molto alta. Una febbre alta in una donna incinta può essere molto, ma molto più pericolosa per il feto che un eventuale effetto collaterale del vaccino. Per non parlare del caso in cui il Covid-19 sfoci in una polmonite: lì c’è il concreto rischio di perdere il bambino”.
Come su altri fronti, gira molta disinformazione. E la mancanza di una linea guida ha portato a troppe interpretazioni.
“Sono d’accordo. Ma ora che la linea guida c’è, va seguita da parte dei medici. Che il vaccino in una donna in gravidanza modifichi il Dna del bambino è una sciocchezza bella e buona. Qui al ‘Gaslini’ siamo stati favorevoli sin dall’inizio alla somministrazione”.
Per quanto riguarda invece i bambini, in particolare la fascia tra i 5 e gli 11 anni?
“Bisogna, in questo caso, distinguere la filosofia dalla pratica: la filosofia dice che se vogliamo interrompere la catena di riproduzione di questo virus, dobbiamo vaccinare tutti, come abbiamo fatto per il vaiolo. È vero che le forme gravi nei bambini sono rare, ma possono trascinarsi problemi anche in fase di crescita. Quanto alla pratica, per capire se andrà eseguita la vaccinazione anche nella fascia tra i 5 e gli 11 anni, dobbiamo aspettare i risultati degli studi scientifici che sono in corso. Quando avremo i dati a disposizione, potremmo trarre le conclusioni. Per il momento, ho letto articoli di stampa, ma non ci sono relazioni ufficiali. Tra le ipotesi, c’è quella che potrebbe bastare un terzo della dose che viene somministrata agli adulti. Ma, lo ripeto, bisogna attendere gli sviluppi delle ricerche”.
Com’è la situazione al Gaslini?
“Attualmente i numeri dei piccoli pazienti ricoverati per Covid sono molto bassi, come del resto sono sempre stati. Nell’ultimo mese però abbiamo curato tre bambini sotto i due mesi di vita e le madri non si erano vaccinate. Al Gaslini, da marzo 2020, con i colleghi reumatologi abbiamo trattato ventotto casi di sindrome infiammatoria sistemica, che viene provocata dal Covid. In un anno e mezzo ho visto, dunque, un numero di casi che non raggiunge il totale di quelli da me incontrati in trent’anni di carriera. Si tratta di forme infiammatorie molto gravi, che si presentano con frequenza elevata, una frequenza che abbiamo misurato e pubblicato nello studio che abbiamo condotto: la sindrome provocata dal Covid è cinque volte superiore a quella dei casi di tubercolosi in età pediatrica nell’arco degli anni 2007-2020, e dieci volte superiore i casi di meningococco in età pediatrica, negli stessi anni”.
Come vanno invece le vaccinazioni nella fascia tra i 12 e i 19 anni?
“C’è paura a vaccinare gli under 19 da parte dei genitori, temendo reazioni avverse. Ma finora al Gaslini abbiamo curato un solo bambino per sindrome infiammatoria post vaccino. Nella vaccinazione antivaiolo i casi avversi erano trenta su cento, nell’anti Covid sono trenta su centomila. Molti contrari al vaccino asseriscono di non conoscerne gli effetti a lungo termine: io dico il contrario. Conosciamo il vaccino, mentre non sappiamo nulla sugli effetti a lungo termine della sindrome infiammatoria nei bambini, pur guariti”.