Venite qui, bambini, che vi racconto una fiaba… C’era una volta, molto tempo fa, stretta tra una corona di colline grigioverdi ed un mare azzurro e mite, la tranquilla (quasi sonnolenta, in apparenza) Contea dei Portici.
Nel cuore del borgo, le spalle all’antico Castello e la facciata sul centro storico, sorgeva il palazzo della ‘Società per la Prosperità della Contea’, detta anche più brevemente la ‘Società’. Qui molti volontari si davano da fare per onorare quanto meglio potevano il lascito degli antichi fondatori, promuovendo la cultura e il lavoro dei cittadini. Ma i tempi erano duri e i soci incontravano molte difficoltà.
Non sorprenderà quindi il fatto che in una bella mattinata di aprile Antorn, ricco mercante della Contea, ricevesse una misteriosa chiamata da un vecchio amico: EnricGalf, il bibliotecario della Società, aveva bisogno di parlargli.
Salite le ampie scale del palazzo, attraversata la biblioteca, passato un portoncino, Antorn dovette spingere la sua non indifferente mole attraverso un vero e proprio labirinto di scale, scalette, corridoi e porticine sempre più piccole, fino a trovarsi davanti al vecchio amico in uno stanzino buio ed angusto che a malapena li conteneva entrambi. I due si guardarono: corpulenti, barbuti, occhialuti, le pance che quasi si toccavano.
EnricGalf non perse tempo in convenevoli: “Come tu sai – esordì – la nostra ricchissima biblioteca e la sua sala di lettura sono l’unica risorsa di questo genere disponibile nella Contea. In particolare, i servizi della sala di lettura sono indispensabili per gli studenti, e noi facciamo del nostro meglio perché tutti possano venire a studiare qui. Ma gli studenti sono tanti, le ore sono poche e lo spazio ormai non basta più. Si potrebbe ampliare la sala di lettura restaurando il giardino sul retro e permettendo ai ragazzi, nelle belle giornate, di studiare all’aperto. Saresti disponibile a finanziare questo progetto?”.
Neppure Antorn si perdette in giri di parole. Era un uomo di temperamento a volte poco accomodante, ma non gli si poteva negare di essere un generoso. Pensando alla grande bellezza del giardino in questione, affacciato sul Castello della Contea, e soprattutto ricordando un desiderio di suo padre, promise subito il finanziamento per la nuova sala di lettura. Si poteva dire cosa fatta.
Fu immediatamente organizzato un incontro con i responsabili della Società e con l’artista incaricato di disegnare il nuovo giardino, in modo da rispettare la nobile struttura dell’antico ‘viridarium’ e di ottenere il beneplacito del Comitato delle Arti e delle Opere storiche, indispensabile per procedere coi lavori.
Ad Antorn e ad EnricGalf si unirono quindi presidente e vicepresidente della Società, due ometti gioviali e rotondi (un po’ simili a degli hobbit, se avete letto il libro) di nome Napo e Franzo, e l’artista Pedro, che già teneva sotto il braccio numerosi rotoloni di carta pieni di disegni. Per vedere dall’alto il bel giardino che era l’oggetto dei loro sogni, i cinque si lanciarono su per un altro labirintico percorso di scale, angoli, muri ciechi e porte finte, fino a sbucare sul terrazzo più alto nella luce piena del mattino.
Qui Antorn con suo stupore fu invitato a chinarsi ‘per non essere visto’… ma visto da chi? I volti allegri e gentili di Napo e Franzo si contrassero per la preoccupazione, il sole di colpo parve meno caldo e l’aria dolce di primavera prese per un attimo un gelido sentore di chiuso. Un brivido passò sulla brigata.
Dovete sapere che non lontano dal palazzo della Società viveva una donna che i nostri ritenevano ferocemente ostile al loro progetto: Bellascura dai Cinque Cognomi.
Dama un tempo bellissima, Bellascura dedicava la sua vita ai tentativi di conservare l’antica gioventù e di aumentare sempre più il suo potere nella Contea. Era una donna molto temuta, le cui intemperanze erano entrate nella leggenda. C’era chi giurava di averla vista pietrificare un bambino con uno sguardo, e che nel suo maniero un nero corvaccio le svolazzasse sempre intorno, pronto ad eseguire ogni suo ordine.
Forse il pensiero di chiassosi studenti che alteravano la pace di un giardino vicino al suo le risultava insopportabile? Forse era un’iniziativa troppo plebea? Forse Bellascura aveva altri piani?
Quale che fosse il motivo di tanto fastidio, mentre la Società si organizzava per sottoporre il suo progetto al Comitato Arti e Opere, e per trovare operai e capomastri pronti ad eseguire i lavori, nel palazzo di Bellascura si preparava il contrattacco. Una coltre di scure nubi si addensava sulla ricca magione, e sommessi bagliori verdastri trapelavano dalle imposte. Bellascura misurava le stanze con passi veloci delle sue lunghe gambe, e gli occhi neri come il carbone mandavano lampi di rabbia. “Corvo, mio fedele! Non permetteremo questo abominio, questa volgarità, questa invasione della mia pace! Promettimi che sorvolerai la Contea e il Reame in lungo e in largo fino a quando non avrai ottenuto che questi bifolchi e il loro stupido progetto vengano ridotti in cenere!”.
E Corvo obbediente partì, recapitando i dispacci di Bellascura ovunque questi potessero trovare udienza.
E così, nonostante il disegno di Pedro avesse ottenuto il parere favorevole del Comitato, e le maestranze fossero pronte a partire, una serie di ostacoli iniziò a piovere sul progetto della Società. Ogni volta che i lavori partivano, ecco che un cavillo, un incantesimo, un imprevisto li costringeva a fermarsi. Gli operai non potevano lavorare, e chi non può lavorare spesso non può neanche mangiare.
Un lungo inverno cadde sul giardino della Società, un inverno che sembrava non dovesse finire mai. Franzo e Napo, anche se naturalmente portati alla serenità e alla cordialità, sembravano un po’ più tristi. Pedro fu perfino colpito da una grave malattia e rischiò molto seriamente la vita (forse però è eccessivo attribuire anche questo a Bellascura).
Poteva finire così, bambini? E che fiaba sarebbe, se finisse così?
Dopo una lunga riflessione all’interno del suo bugigattolo, EnricGalf iniziò a consultare i più antichi testi della biblioteca, leggendo di inganni e di soprusi, di astuzie e di saggezza, di torti e di ragioni, e di tutte le cose giuste e sbagliate di cui è intessuta la storia degli uomini. Lesse anche molti libri di botanica, scritti da un suo antenato, e ne studiò con attenzione le illustrazioni. Poi uscì nel gelo del ‘viridarium’ e si mise a perlustrare ogni centimetro del terreno freddo e brullo alla ricerca di qualche germoglio.
Dopo un’attenta ricerca, raccolse qualche fogliolina e qualche radice, e li portò con sé nello studio. Mise il tutto in un vasetto, lo bagnò giudiziosamente, lo illuminò con la luce dell’ottimismo e della fiducia (anche lui era un po’ mago, forse) e aspettò.
Ed infine, proprio allo spuntare della prima gemmolina, un passero temerario riuscì a sventare la feroce sorveglianza di Corvo e recapitò al buon Napo la notizia che un tribunale del Reame aveva finalmente rimosso l’ultimo ostacolo che impediva l’inizio dei lavori. Non solo: Bellascura andava punita per aver disturbato il tribunale con le sue richieste non pertinenti, e per questo doveva pagare con moneta sonante !
L’inverno era finito. Il sorriso tornò ad allargare i volti di Franzo e Napo, Pedro guarì e i capomastri si prepararono a tornare al lavoro. L’aria si era fatta di nuovo dolce, il viridarium si andava rapidamente ricoprendo di tenera erbetta e di fiorellini selvatici, e aspettava per l’estate ormai vicina frotte di ragazzi a rallegrare le antiche pietre.
La festa per l’inaugurazione del giardino della Società fu memorabile. Molto tempo dopo che l’ultimo studente fu tornato a casa, i gentili soci continuarono a intonare cori, a brindare e a danzare, di tanto in tanto lanciando timidi lazzi all’indirizzo della temuta Bellascura (gli hobbit sono creature tendenzialmente pacifiche, anche se, come tutti, non amano i soprusi ). Ma dopo che fu scesa la notte anche l’ultima libagione finì, la musica si spense e i soci si dispersero in lieti drappelli diretti alle loro case.
Ultimo rimase il bibliotecario, nella sua imponente corporatura, a godersi il giardino nella luce chiara della notte d’estate. EnricGalf aspirò i profumi che salivano dalla terra umida: tra essi, sottile ma persistente, aleggiava un sentore di ottimismo e di fiducia. EnricGalf sorrise: l’erbetta del Bene Comune aveva attecchito magnificamente . Il bibliotecario rivolse un pensiero riconoscente all’illustre botanico e si avviò verso casa. Attraversando la biblioteca, passò proprio davanti al ritratto del suo antenato, e per un attimo rallentò il passo: aveva bevuto anche lui un bicchierino di troppo, o davvero il vecchio scienziato gli aveva strizzato l’occhio? Scuotendo la testa con un sorriso, il bibliotecario chiuse silenziosamente il portone dietro di sé. Il giardino segreto era ormai un bene della Contea.