di DANILO SANGUINETI
Il coraggio della rinuncia. A volte superiore a quello che serve per entrare in azione. Due mesi fa la Federazione Italiana Basket chiese alle società se e quando volevano tornare sul parquet. Partite senza esitazioni le categorie nazionali (serie A, A2 e B) con un protocollo sanitario che garantiva sicurezze almeno pari a quelle del calcio professionistico, la patata bollente veniva depositata nelle mani dei club di C, categoria regionale e con giocatori e giocatrici che vanno ascritti di diritto nella categoria dei dilettanti veri.
C’era da capire come scrivere le regole di campionati ‘terremotati’, con tempistiche tradizionali saltate, rinvii a ripetizione, soprattutto organizzare un sistema di controlli e precauzioni che tenesse al riparo dal gravissimo rischio di contagi o peggio l’insorgenza di focolai. Tra le società il dibattito è stato molto acceso. In Liguria dopo confronti e valutazione i no hanno prevalso, cinque società hanno detto che non c’erano i presupposti minimi. Per mancanza di numero ‘legale’, i tornei sono stati annullati.
Il Tigullio Sport Team Basket, club dal pedigree importante, con dirigenti rispettati e stimati, è stata capofila nello spiegare le ragioni del suo rifiuto. Qualche polemica (un paio di società hanno puntato il dito sugli ‘aventiniani’, dando loro l’intera colpa) è stata spenta dall’inappuntabile logica del comportamento dei tigullini.
Il responsabile del settore tecnico, Luca Macchiavello, va dritto al cuore del problema: “Abbiamo ritenuto che le norme studiate per farci riprendere l’attività fossero insensate e inapplicabili. Le società avrebbero sopportato oneri e corso rischi assurdi, considerato il particolare momento che stiamo vivendo. Queste le nostre motivazioni, non ci siamo mai sognati di sindacare il merito delle decisioni altrui. Chi si è iscritto avrà ritenuto di poter far fronte alla situazione. Non ci sono buoni e cattivi in questa faccenda. Non siamo noi e gli altri club ad aver bloccato il campionato di serie C. Si scambia spesso la causa con l’effetto in questo paese”.
Il dito viene puntato su chi ha ideato delle regole di difficile se non impossibile applicazione. “Noi avremmo voluto giocare, la partita ‘vera’, la competizione ci mancano moltissimo, solo non abbiamo accettato di riprenderceli a queste condizioni”.
Il dirigente responsabile della sezione pallacanestro della Polisportiva sammargheritese, il dottor Pio Macchiavello, è pronto a spiegare per filo e per segno: “Io mi sono letto e riletto il Protocollo per i Campionati di Serie B Femminile, Serie C Gold, Serie C Silver Maschili”.
Per un esperto come lui il testo non ha segreti. “Sintetizzando al massimo, veniva traslata alle serie minori la procedura di sicurezza sanitaria pensata per le categorie maggiori. Dove ci sono strutture societarie e soprattutto impianti di gara e di allenamento mediamente molto ma molto più importanti e preparati di quelli dove operiamo noi”.
Il dottor Macchiavello sottolinea come si stia parlando di un torneo che anche se definito di rilevanza nazionale (così come i campionati giovanili dall’Under 13 in su) opera su base strettamente regionale. “Partiamo dalle norme di sicurezza da osservare durante le partite. Gli impianti che ospitano l’evento agonistico debbono avere spogliatoi che consentono di mantenere due metri di distanza tra un atleta e l’altro. Il nostro palazzetto uno spazio simile non lo possiede, così più dei due terzi delle palestre che avrebbero ospitato le gare. Avremmo dovuto far cambiare i nostri ragazzi sugli spalti? Ancora peggio per le docce. O singole o con i bocchettoni posti a 4 metri l’uno dall’altro. A Santa abbiamo 4 vani doccia e non ci sono cabine singole. E in altre località e aree sono messi peggio. Quindi anche in questo caso avremmo dovuto far fare i turni ai giocatori. Con il risultato che gli ultimi avrebbero aspettato non minuti ma almeno un’ora prima di rinfrescarsi…”.
Sarebbe sufficiente, eppure c’era di peggio. “Per lo schieramento a bordo campo si prevedevano distanziamenti precisi. In campo i 5 atleti contro 5 potevano venire a contatto senza nessuna limitazione. Appena andavano in panchina (nel basket le rotazioni sono continue con uscite e rientri anche ravvicinati ndr) dovevano mettersi mascherina e stare seduti a 1 metro di distanza dai compagni e avversari”.
Essendo meticoloso, il dirigente sammargheritese ha fatto qualche conto: “7 atleti in panchina, 3 almeno tra tecnici e dirigenti, siamo a 10 persone ossia 20 metri di spazio. L’altra squadra, altri 20 metri, poi c’è il tavolo giuria, come minimo 3 rappresentanti della Federazione, altri 6 metri. A casa nostra su una stessa linea non ci stavano. Il protocollo dice che nel caso si possono sistemare sulle gradinate… Peccato che in diverse palestre non ci siano, e quindi non so dove avremmo messo gli interessati”.
Forse appesi al soffitto su ceste… “A Sestri Levante o a Casarza non c’è spazio, c’è solo il piano gara. E poi c’era il rebus degli ingressi separati. Il protocollo ne richiedeva uno per squadra e uno per gli ufficiali, tre in tutto. Dalle nostre parti quando se ne hanno due è già una grande conquista”.
E siamo solo al contorno. Ci sarebbe stato poi il piatto forte, i controlli sanitari. “Si chiedeva di effettuare un test a tutto il gruppo squadra, almeno 20 persone, 48 ore prima della gara. Veniva chiesto di sottoporre ogni individuo a un controllo, o tampone molecolare o sierologico. Una verifica forse non sufficiente, soprattutto se fosse fatta con il test sierologico non troppo preciso”.
Senza parlare dei costi. “Sì, a differenza che in altri sport, la spesa per i test era a nostro carico, ed era un carico non indifferente per società che, lo ricordo, hanno bilanci molto scarni ed entrate, in questo periodo, che rasentano lo zero”.
Il no del Tigullio Sport Team Basket è ultra motivato. Difficile fare obiezioni. “Eppure ci è costato. I ragazzi sono al palo da oltre un anno. Volevano tanto tornare a gareggiare. Ma di fronte al rischio di andare in campo e di essere bloccati da norme troppo restrittive o infrangerle e rischiare anche un solo contagio, non abbiamo avuto dubbi. Siamo stati fermi. E la maggioranza ha deciso di fare lo stesso. Non attacco chi aveva intenzione di scendere in campo, società come l’Ardita Nervi e il Cus Genova avranno fatto un altro tipo di ragionamento. Non ha senso fare polemiche, semmai concentriamoci sulle giovanili”.
Eh sì, perché la FIP ha proposto di far partire dall’11 aprile mini tornei per categoria. “Le disposizioni sono meno severe, si conta che la situazione generale dopo Pasqua migliori e che i ragazzi possano andare in campo in sicurezza. Debbo dire che il nostro settore giovanile in questi mesi ha continuato a funzionare egregiamente. I ragazzi sono tornati in palestra, anzi abbiamo dovuto frenare alcuni perché erano le famiglie ad avere dei dubbi, i nostri mini cestisti avrebbero bruciato le tappe. Un ottimo segnale, speriamo che si possa tornare a vedere partite vere, divertenti, emozionanti. Abbiamo resistito solo in funzione di questa speranza”. Perché a Santa Margherita sono dilettanti solo per i mezzi finanziari, come cuore, programmazione e volontà niente hanno da invidiare ai professionisti.