di FABRIZIO DE LONGIS
C’è un tema caro alla politica genovese e ligure negli ultimi mesi. Un argomento che progressivamente sta entrando sempre di più nel vivo del gioco e che, va dato atto ai proponenti, sta diventando sempre più concreto. Si tratta dell’autonomia differenziata. Argomento portato a Roma da un gruppo di presidenti di regione soprattutto del nord, fra cui il più focoso e attivo risulta essere Giovanni Toti. In breve, se si dovesse riassumere cosa significa questa autonomia, si può dire più potere di scelta e quindi più potere di spesa. Ossia il nodo centrale di ogni forma di governo.
Se sulle scelte rientra in campo un riassetto delle competenze stato-regioni (ultimo a riuscirci fu Massimo D’Alema con la famosa Bicamerale del 1997), dall’altro c’è il grande tema di dove acquisire le maggiori risorse necessarie ad avere un budget di spesa più ampio (in questo caso i governatori auspicano che sia molto più ampio).
Sostanzialmente la palla che torna in campo è un vecchio cavallo di battaglia del centrodestra italiano: il federalismo fiscale. Per farla a slogan, i soldi delle tasse restano sul territorio.
Il primo grande nodo che si deve affrontare quando si parla di federalismo, e ancor più se a questo viene affiancata una fiscalità, è la diseguaglianza. Creare rapporti differenti fra territori, ma soprattutto poteri di spesa differenti, vuol dire dare ossigeno a chi oggi meglio respira e toglierlo a chi soffre. Quindi ingiustizia sociale.
Ovviamente la controanalisi è che la zavorra dei territori incapaci, culturalmente, socialmente, orograficamente, e per tanti altri motivi indagabili, di procedere a pari passo con i migliori della nazione, rallenta chi invece merita di godersi il frutto del proprio lavoro. Per farla breve, perché la Lombardia dovrebbe usare le tasse pagate dai suoi operosi cittadini per ripianare i debiti derivanti dagli sprechi criminosi (spesso mafiosi!) della sanità calabrese?
In questa diatriba la sanità pubblica è forse il tema proprio centrale e al contempo l’esempio migliore per la discussione a riguardo del federalismo.
La missione storica su cui sono state istituite le regioni (tra l’altro con notevole ritardo perché ci si è arrivati più di vent’anni dopo l’approvazione della Costituzione), è sempre stata proprio la gestione della sanità. Ambito per cui il 90% del potere di spesa delle regioni è proprio impegnato nella sanità stessa.
In questo assetto di regionalizzazione, i modelli applicati sono stati molteplici, sia affrontati con un’analisi di efficienza, sia con una di efficacia. Dove ci si cura meglio per una data patologia, è un topic che spesso il cittadino si chiede e, se può permetterselo, emigra nelle altre regioni e altri territori per affrontare il proprio problema. E qui già sorge un elemento di disparità, perché per farlo, bisogna permetterlo. E un conto da Genova è andare in Lombardia, un altro, proprio dalla vituperata Calabria, salire a Milano.
Ma anche in tema di diritti le scelte sono state ben diverse. Basti pensare all’accoglimento della possibilità di usufruire gratuitamente o meno delle terapie per la transizione di genere.
Insomma, il tema è ampio. Ed è un tema non da poco quando questo vuol dire, nelle prospettive liguri, tenersi ad esempio almeno parte del gettito fiscale del più grande porto del paese che da solo arriva a qualcosa come circa 8 miliardi di tasse annue.
Ed è proprio il presidente della Liguria, Toti, ad aver portato di recente sul tavolo un aspetto nodale dell’autonomia. La sussidiarietà, ossia il modello che prevede di dare il governo ai territori e poi sottarlo solo per temi in cui non hanno capacità gestionale. Il quale è un punto storico del diritto italiano. Principio che segue due direttive chiare. Da un lato questo modello è più efficiente, perché chi vive e governa i territori li conosce, dall’atro efficace, perché o governa bene o viene cacciato. Sostanzialmente il principio è quello dell’americana accountability: la responsabilità provata e costantemente testata dei governanti. Non a caso, il governante storicamente più amato del nostro paese è il sindaco. E c’è anche chi propone da sempre l’elezione di un sindaco d’Italia per governare il paese.
Schema che oggi i governatori coinvolti provano a ribaltare sul potere che loro stessi potrebbero acquisire. Ma proprio qui entra lo stato sociale. Entra l’equità della nazione e la cancellazione delle disparità. Ossia la sanità pubblica. Perché mentre Toti si impegna nella propria battaglia federalista, emergono due spinte chiare che a Genova stanno aprendo una parentesi di riflessione. La prima è quella accentratrice. Se la riforma come oggi studiata concede più poteri anche alle amministrazioni delle provincie e dei comuni, come si inquadrerebbero territori come il Tigullio? Verrebbero sempre più fagocitati dalla Città metropolitana? Sembra infatti facile che Marco Bucci, sindaco di Genova e metropolitano, veda bene la proposta. Ma come potrebbero agire invece i piccoli e medi comuni liguri di fronte al maggior potere di due enti che già stanno fagocitando l’autonomia dei territori non di capoluogo?
La seconda spinta è quella privatistica. Più si procede verso la riduzione degli enti da statali a regionali e via dicendo, più entra in campo il settore privato. E anche qui, ad esempio con il famoso modello lombardo messo in crisi e dubbio dalla pandemia Covid, la sanità è il fulcro di questo schema.
Infatti ha creato non pochi contrasti negli ultimi giorni nella politica genovese sentire proprio Toti vantare un progresso nell’autonomia e solo ventiquattro ore dopo festeggiare l’acquisto presso i privati di ulteriori 130mila prestazioni di diagnostica per immagini (ecografie, rx, risonanze magnetiche e TAC) per abbattere i tempi di attesa dei cittadini. Quando forse, secondo alcuni, sarebbe stato ragionevole usare questi fondi per potenziare il sistema sanitario ligure e garantire in maniera stabile e duratura una capacità di accogliere più domande diagnostiche.
Per non pochi politici, infatti, guarda caso, è bastato che a fare un tale annuncio sia stato il presidente della Regione e non l’assessore competente. Come a dire, l’accentramento dei poteri è più che iniziato. “Perché quando si fanno certe scelte è bene ricordarsi che quasi sempre qualcuno è sempre più uguale degli altri”, ha chiosato un consigliere regionale di opposizione commentando le prospettive di autonomia potenziata.