di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
La valenza storica e culturale di questo paraggio merita ancora una riflessione, in particolare per ragionare sulla rimozione della cancellata e sulla sua sostituzione con i dissuasori in ghisa.
Vorrei ritornare allo scorso mese d’ottobre 2024. In questa data si è tenuto il raduno delle Confraternite del Priorato Diocesano, evento di cui si può rileggere nell’articolo pubblicato su ‘Piazza Levante’ (leggi qui). Quel giorno si è potuto assistere ad un rituale ripetuto da secoli nello stesso spazio.
I confratelli riprendevano gestualità, costumi, paramenti di quel movimento che caratterizzò i primi secoli dell’anno Mille. Con la costruzione del complesso francescano in Chiavari, si avviarono i tratti rappresentativi del movimento dei Disciplinati, con nuove liturgie che caratterizzarono il loro contributo al rinnovamento della Chiesa medievale. In particolare si avviarono le pubbliche processioni penitenziarie, le esibizioni dei portatori “cristesanti” con i loro monumentali crocefissi, le sacre rappresentazioni e l’uso delle “macchine” durante le processioni.
Grazie agli studi di Alessandro d’Ancona e di Paolo Toschi, il movimento Disciplinare è entrato con pieno diritto nella storia delle origini del teatro italiano. In questi contesti maturavano le origini di un teatro che si sviluppava sui temi della letteratura popolare, tra fede, linguaggi e visioni di un popolo che diveniva protagonista della drammatizzazione.
Tutto ciò trovava uno spazio dedicato nella nostra piazza antistante la Chiesa di San Francesco. In una conferenza tenutasi a Genova il 24 gennaio del 1898 Arturo Ferretto, dirigente dell’Archivio di Stato di Genova, relazionava e riportava il suo contributo alla “storia del Teatro in Liguria”, e più specificatamente illustrava le ricerche sulle “sacre rappresentazioni in Chiavari e Rapallo”. Sin dalle primissime righe si ritrovano i tratti del cammino Disciplinare, un movimento avviatosi in Umbria e dilagato poi nell’intero Paese. Il Ferretto attribuisce questa penetrazione sul nostro territorio alle antiche viabilità medievali. Il Tigullio si collocava infatti sull’antica via romana, e Chiavari e Rapallo erano stazioni di romeaggio, tappe per i pellegrini che si recavano alla Città Santa.
Lo studioso riprende i manoscritti del Buschi, preziosi documenti conservati in Società Economica, in particolare cita gli “Annali Chiavaresi” terminati nel 1671; qui si afferma che Francesco d’Assisi fondò la propria Cadè nel 1219 e nel 1293 “trovò inoltrata la fabbrica”. Una preziosa conferma della presenza e dell’azione dei seguaci d’Assisi è riportata negli atti del consiglio chiavarese: una delibera supplicava il senato genovese d’applicare la riforma francescana ricordando che il monastero “in questo luogo ha havuto principio dal proprio santo”.
Continua il Ferretto: “Al movimento mistico dei Francescani, tanto accentuato in Chiavari, ed ai quali siamo debitori del primo saggio di rappresentazione della Natività, avendo preso le mosse i Presepi e da questi, come fiume da sorgente, tutte le sacre famiglie della scuola pittorica genovese e opere gentili di scultura”.
Tutto ciò trova conferma e si materializza nella ricca presenza di opere pittoriche e nelle “macchine” processionali tuttora conservate nelle nostre chiese. Lo schema della presenza francescana si confermò nel 1263 nella costruzione dell’attiguo grande oratorio, tuttora leggibile nel complesso edilizio a destra del varco d’accesso al chiostro, edificio che prosegue sino al vicolo del Malpertuso. Secondo il Ferretto la traccia più remota di sacra rappresentazione è documentata in un atto notarile del Rivarola, in una carta del 1280 si cita “ludus de tribus Mariis in Clavaro”. Confrontando questo riferimento si può identificarlo nella tipica drammatizzazione dei Misteri della Passione allestiti durante la Settimana Santa.
Non è casuale che l’allestimento dei sepolcri sia diffuso molto popolarmente nelle nostre chiese; un linguaggio rappresentativo, ancora in uso nei primi anni Sessanta, proponeva vere scenografie, apparati, l’uso dei medievali “cartellami”, il tutto a conferma delle antiche origini del rito.
Nel prosieguo della ricerca il Ferretto intercetta una lettera inviata al senato genovese dal podestà di Rapallo nel 1562. Nel documento si cita la richiesta d’autorizzazione per “posi per uno o sie due giorni andar a star in questa settimana Santa per sino a Chiavari accio possi veder la rapresentacion del redentor nostro Iesu Christo”. È indubbio il richiamo ad un testo tra i più rappresentati dalla pietas popolare, dove sulla piazza comparivano tutti i figuranti e si seguiva l’intero ciclo di quella che diverrà la diffusissima “via crucis”.
Ho già citato le grandi macchine processionali e la loro presenza tuttora in essere in città; se entriamo nella Basilica di Nostra Signora dell’Orto, guardando la nicchia del transetto di sinistra possiamo ammirare un capolavoro di Anton Maria Maragliano. Si tratta della composizione di San Francesco che riceve le sacre stimmate.
Un’altra stupenda cassa processionale è visibile nella testata sinistra del transetto, dove è conservata la Madonna Addolorata ai piedi del Crocefisso. Queste grandiose opere erano state commissionate dalla Confraternita attiva nell’Oratorio di San Francesco e qui trasferite dopo la sua chiusura.
La ricostruzione potrebbe continuare e transitare negli articoli dello Statuto della Comunità di Chiavari. In queste secolari regole troviamo i riferimenti ad altre pratiche drammaturgiche, tra cui le “Cantegore”, canti di questua per le anime purganti.
Da tutto questo ricaviamo la conferma del significato di quel cancello, che non rappresentava una divisione e neppure una barriera urbanistica, ma una necessaria distinzione. La contenuta piazza era sagrato, ma anche luogo di liturgie, in cui l’azione delle sacre rappresentazioni trovava una sorta di palcoscenico, una valenza storica preziosa e secolare, una distinzione che oggi rimarrà affidata ai dissuasori di traffico.
Peccato non aver lasciato l’artistico cancello!
(* storico e studioso delle tradizioni locali)