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di FRANCESCO DANIELI *
Lunedì scorso gli Stati Uniti hanno assistito all’ultima novità negli ormai innumerevoli processi contro l’ex Presidente e candidato Repubblicano Donald Trump. Questa volta si tratta del processo civile che vede Trump indagato per frode da parte della Procuratrice Generale dello stato di New York, Letitia James. Insieme a lui, sono indagati anche i suoi figli maggiori, Eric e Donald Jr., e altri dirigenti della sua società, la Trump Organization. I fatti risalgono al periodo compreso tra il 2011 e il 2021, nel quale Trump avrebbe gonfiato artificialmente il valore delle sue proprietà per poter ricevere prestiti e assicurazioni a tassi agevolati.
Dopo le indagini istituite dalla Procuratrice, il 16 febbraio scorso il giudice Arthur Engoron aveva condannato Trump a pagare una cauzione di ben 354 milioni di dollari, a risarcimento dei danni provocati dalle sue frodi. A questo denaro andavano poi aggiunti gli interessi (111.000 dollari al giorno) per un totale, a fine marzo, di circa 464 milioni. Lunedì, però, la cifra è cambiata. Su richiesta degli avvocati di Trump, una corte d’appello di New York ha infatti concesso la riduzione della cauzione a 175 milioni, da pagare entro dieci giorni. La cifra richiesta in precedenza non sparisce, ma Trump dovrebbe pagarla solo nel caso perdesse in appello, verdetto che arriverà dopo settembre. L’ex Presidente può così tirare un sospiro di sollievo e guadagnare tempo per trovare i soldi che gli servono.
Da diversi mesi, infatti, Trump sembra avere problemi di liquidità. Sebbene venerdì 22 marzo il miliardario avesse affermato di possedere quasi 500 milioni di dollari in contanti, tenuti da parte per la campagna presidenziale, i suoi avvocati non erano sembrati altrettanto ottimisti. Prima della riduzione della cauzione, il team legale di Trump aveva comunicato di non riuscire a trovare nessuna banca o compagnia di assicurazioni disposta ad accettare i suoi beni immobiliari come collaterali in cambio della liquidità necessaria per pagare la cauzione. Ora che la cifra è scesa, alcune fonti del New York Times affermano che Trump dovrebbe essere in grado di pagarla: ciò non toglie che avrà comunque bisogno di trovare una compagnia disposta a fargli da garante qualora dovesse perdere l’appello in autunno. Cosa succederebbe invece se Trump non pagasse in tempo? A quel punto, Letitia James potrebbe iniziare a mettere sotto sequestro i conti correnti e le proprietà di Trump; un procedimento che però non avverrebbe dall’oggi al domani, poiché richiede diversi passaggi burocratici.
Per scongiurare questa ipotesi, c’è un’altra opportunità per il miliardario. Martedì 26 marzo, il giorno dopo la decisione della corte d’appello, il Trump Media & Technology Group, la società che detiene Truth Social – social network fondato dallo stesso tycoon -, è entrato in borsa grazie alla fusione con un’altra società, la Digital World Acquisition Corp. A fine giornata, il valore delle azioni aveva raggiunto i 58 dollari: moltiplicato per il numero di quote possedute dall’ex Presidente, circa 79 milioni in azioni, corrisponde a un totale di 3,6 miliardi di dollari. Se Trump vendesse parte di queste azioni, potrebbe facilmente raggiungere la cifra necessaria per pagare la cauzione e risolvere il suo problema finanziario. In teoria, secondo i termini della fusione, Trump non potrà ancora vendere le azioni per sei mesi in seguito alla quotazione. Il consiglio di amministrazione, in cui si trova anche Donald Jr., potrebbe però votare per consentirgli l’operazione prima di tale termine.
Dunque, non siamo ancora alla fine di questo capitolo, che potrebbe riservarci nuove sorprese nei prossimi giorni. Di sicuro, questi problemi non facilitano la campagna elettorale repubblicana. La lotta per la presidenza si fa sempre più aperta.
(* Studente magistrale di Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di Storia dell’Età moderna e di politica internazionale. Collabora con Jefferson e partecipa al progetto “Stato da Mar” della Società Dalmata di Storia Patria)