di MATTEO MUZIO *
Nei giorni scorsi a Washington è stata nominata la nuova presidente del think tank Bipartisan Policy Center: si tratta della texana Margaret Spellings, già segretaria all’istruzione durante la presidenza di George W. Bush. Nelle dichiarazioni registrate a sostegno della nomina, ci sono due persone molto diverse: da un lato il senatore texano John Cornyn, uno dei maggiori giuristi conservatori d’America, per anni uno dei maggiori sostenitori dell’agenda trumpiana. Dall’altro il governatore del North Carolina, Roy Cooper, un democratico che è uno strenuo difensore dei diritti civili e del diritto ad abortire delle donne. Due figure molto diverse che però hanno dimostrato di saper lavorare con gli avversari. Così come Joe Biden e i repubblicani del Congresso hanno fatto nei giorni scorsi, sorprendendo le analisi della prima ora, quando si vedeva come inevitabile il muro contro muro.
Facciamo un passo indietro: gli Stati Uniti, a differenza della maggior parte dei paesi del mondo, non possono indebitarsi all’infinito, ma devono chiedere l’autorizzazione al Congresso. Dallo scorso novembre però, i repubblicani detengono un’esile maggioranza alla Camera dei Rappresentanti e questo ha complicato quella che, quando lo stesso partito detiene il controllo del potere legislativo ed esecutivo, normalmente è una pura formalità. Si è andati ad oltranza, con il dipartimento del Tesoro costretto ad attuare misure straordinarie per evitare che il Paese andasse in shutdown, ovvero che venissero bloccati alcuni servizi essenziali. Non solo: stavolta si è proprio rischiato un default bello e buono come quelli incontrati dall’Argentina. Un’insolvenza che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche sull’economia mondiale. Un’ipotesi che però aveva alcuni tifosi politici: da un lato i repubblicani di stretta osservanza trumpiana, guidati dall’ex presidente Donald Trump, il quale tifava per la catastrofe soltanto perché si sentiva favorito dai sondaggi nel caso gli Stati Uniti avessero dovuto avere un anno e mezzo di depressione economica da affrontare. Più che ‘America First’ qui si tratta proprio di un caso ‘Myself First’.
Dall’altro invece l’ala sinistra dei democratici, capeggiata dalla deputata radicale Alexandria Ocasio Cortez, ha chiesto l’invocazione di un’oscura clausola del quattordicesimo emendamento costituzionale, emanato dopo la guerra civile, che cancellava la possibilità di rinegoziare i debiti contratti durante il conflitto tra Nord libero e Sud schiavista. La ragione? Liberarsi dalla necessità di negoziare con “i terroristi legislativi”. Una retorica che echeggiava, con una certa ironia amara, quella utilizzata da George W. Bush all’indomani degli attacchi dell’11 settembre. Una strada costituzionalmente dubbia che avrebbe potuto condurre a una bocciatura da parte della Corte Suprema americana, a maggioranza composta da giudici conservatori. Invece sia il presidente Joe Biden che lo speaker della Camera Kevin McCarthy hanno messo da parte le rispettive retoriche per cercare un accordo sofferto.
Da un lato, Joe Biden ha dovuto rinunciare agli aumenti di spesa che aveva previsto in questo biennio per far fronte a una crescente povertà diffusa, dall’altra i repubblicani avrebbero voluto una rigida riduzione della spesa soprattutto a scapito del welfare destinato alle minoranze etniche. Il compromesso raggiunto si è fermato nel mezzo: se la Casa Bianca può affermare a buon diritto di aver evitato i tagli draconiani che i repubblicani avevano proposto in prima battuta, dall’altro la leadership congressuale repubblicana ha dalla sua l’aver congelato gli aumenti di spesa di un presidente che ai loro occhi è troppo vicino alla ‘sinistra socialista’. Sul campo, ovviamente, ci sono gli scontenti, i radicali di entrambi gli schieramenti che avrebbero preferito far saltare il tavolo per continuare la tiritera del ‘blame-game’, il gioco delle colpe reciproche, per alimentare le rispettive campagne elettorali permanenti.
Nulla di tutto ciò: un presidente che spesso viene definito quale senile e incapace di intendere e di volere per i suoi acciacchi fisici con la collaborazione di un partito repubblicano che per certi aspetti continua a essere dominato dalla debordante personalità di Trump ha raggiunto uno dei risultati più inaspettati della sua presidenza: la restaurazione di un certo grado di cooperazione bipartisan che era andato via via erodendosi negli anni successivi alla fine della Guerra Fredda, quando gli schieramenti collaboravano sovente per far fronte alla minaccia sovietica. Nonostante la volontà dei Padri Fondatori, la partigianeria sfacciata è sempre stata una caratteristica connaturata alla politica statunitense: già alle elezioni presidenziali del 1800 i sostenitori di John Adams accusavano l’avversario Thomas Jefferson di essere un libertino amico dei giacobini francesi. Insinuazione ricambiata con le voci di simpatie per la corona britannica da parte di Adams. Per la tenuta del sistema però è fondamentale che ci sia un certo grado di collaborazione tra i partiti, non soltanto per la coesione sociale, ma perché l’elettorato, anche quello più militante, possa osservare con i propri occhi come il pragmatismo sia un valore che porta a risultati concreti contrapposto a due opposti ideologismi sterili e parolai.
(* giornalista e ideatore del blog Jefferson – Lettere sull’America)