di ENRICO ROVEGNO
Quando i membri della Società Economica decisero di acquisire, grazie a una permuta con una collana di Classici Latini già posseduti in triplice copia, le tavole Anatomiae universae di Paolo Mascagni pubblicate nel 1823, correva l’anno 1844 e la nostra Biblioteca era dunque aperta da quasi cinquant’anni (ne era stata decisa la costituzione nel 1796, cinque anni dopo la fondazione della stessa Economica).
Oggi, mentre celebriamo con una mostra ad essa dedicata il secondo centenario di quest’opera straordinaria, non possiamo non rallegrarci di quella decisione, tanto più lungimirante se si consideri che la nostra Biblioteca non aveva e non ha alcuna specializzazione scientifica o artistica, e dotandola delle Tavole del Mascagni quei soci gettarono un ponte fra il patrimonio letterario, che del nostro patrimonio librario costituisce il corpus numericamente più consistente, e quello artistico, custodito oggi nella Quadreria: le Tavole infatti, ideate dal Mascagni ed eseguite dal pittore Antonio Serantoni, celebrano uno straordinario connubio fra scienza e arte, quale si trova in poche altre opere in nostro possesso, come l’Encyclopédie Méthodyque di Joseph Panckoucke o gli Atlanti seicenteschi illustrati.
Sappiamo tuttavia che in ambito letterario la contaminazione fra cultura umanistica e sapere medico produsse fra Cinque e Seicento un vero e proprio genere, quello delle ‘Anatomie letterarie’, che estendevano il loro campo di interesse a geografia, astronomia, filosofia morale, grammatica, praticando per principio la ‘dissezione’ di un tema prima di procedere alla sua classificazione: naturalmente, si trattava di una accezione metaforica della parola, che indicava generalmente quei trattati dove l’autore si proponeva di affrontare ogni aspetto dell’argomento prescelto, “dissezionandolo” appunto come i ‘notomisti’ facevano con i corpi per rivelarne l’aspetto interno, altrimenti invisibile agli occhi. Forse il più famoso fu la Anatomia della malinconia di Robert Burton, prima edizione 1621, considerata un classico (proprio quest’anno è uscita in traduzione italiana nella prestigiosa collana dei Millenni Einaudi). Molte altre furono le opere del genere, e un esempio su tanti possibili è anche quella custodita nel nostro Fondo Antico: Anatomia d’amore profano, di Matteo Palma da Lucca, 1628.
Ma interessanti furono anche, sempre in quel campo letterario cui appartengono tante delle opere presenti nella nostra Biblioteca, gli incroci fra poesia e anatomia (oltre che fra poesia e saperi scientifici in generale) che configurarono nel Sei-Settecento una vera e propria ‘poetica del corpo umano’, cercando di ricreare nei versi le immagini reali, non metaforiche, della gran ‘macchina’ del corpo.
Non ci stupirà che un esempio abbastanza clamoroso di irruzione di particolari anatomici in un testo poetico si trovi in quel “poema-mondo” che è l’Adone di Giambattista Marino, che nel XIII canto, rappresentando la maga Falsirena in procinto di esercitare su un cadavere le sue arti negromantiche, la mostra intenta a scegliere un corpo che abbia integra, oltre al polmone, anche la trachea (l’“aspra arteria”): “Intero il volto, intera hauea la strozza, / Ma d’un troncon nel petto ampia ferita. / Se sia guasto il polmon, se rotta o mozza / Sia l’aspra arteria, ond’ha la voce uscita / Prendendo a perscrutar, trova la Maga / C’ha le viscere intatte, e senza piaga”.
È del resto ben noto che il cavalier Marino, celebrato secondo una felice (ma abusata) formula critica come ‘poeta dei cinque sensi’, capace per altro di innalzare la metafora a figura del linguaggio per eccellenza del Barocco letterario, in gara con il coetaneo spagnolo Luis de Gongora, dimostrò continuamente nei suoi versi un vivo interesse sia per l’arte sia per la scienza: se ne potrebbero dare – e non è questa ovviamente la sede – moltissimi esempi, in cui spesso la precisione e il realismo anatomici prendono il sopravvento sulla consueta metaforizzazione. A tal proposito ricorderei almeno le ottave (25-38) dedicate alla descrizione dell’occhio nel canto VI, un vero banco di prova per la sua “poetica della meraviglia”. Solo a titolo di esempio:
“Oh quanto studio, o quanta industria mise / Qui l’eterno Maestro, oh quante accoglie / Vene, arterie, membrane e ’n quante guise / Sottili aragne, e dilicate spoglie! / Per quanti obliqui muscoli diuise / Passano e quinci e quindi e fila, e foglie! / Quante corde diuerse, e quanti e quali / Versano l’occhio et angoli e canali!” (Adone VI, 32).
L’interesse per l’anatomia d’altro canto non impedirà a Marino, quando altrove vorrà colpire un suo accanito rivale – quel Murtola autore di un poema sulla creazione – di utilizzarne i riferimenti in un tono fortemente sarcastico (“Ma tu sacro, e santissimo polmone, / E tu beata, e benedetta milza, / Poiché nel libro suo vi mette in filza / Là dove tratta de la creatione…”).
Sarà poi appena il caso di far notare una fortuita e gradevole coincidenza: corre quest’anno anche il quarto centenario della pubblicazione dell’Adone (1623), il che significa dunque che le Tavole di Mascagni videro la luce proprio nel secondo centenario del poema.
Certo, per richiamare il legame tra anatomia e poesia oggi la maggior parte dei lettori e degli studenti che frequentano la nostra come altre biblioteche non penserebbe forse al Marino, e citerebbe probabilmente la famosa (o famigerata) Lezione di anatomia di Arrigo Boito, che nel 1865, pagando un evidente tributo ai temi della scapigliatura, per affrontare il contrasto fra reale e ideale rappresentava quello fra un corpo di fanciulla, descritto sul tavolo dell’autopsia con alcuni crudi dettagli anatomici, e i sogni e gli ideali di quella infelice.
Nella storia della poesia degli ultimi secoli, comunque, il filo rosso del legame con l’anatomia non si è mai interrotto, anche se privilegiando decisamente il coté metaforico rispetto a quello realistico. Così un poeta colombiano contemporaneo, Juan Manuel Roca, ha scritto una bella lirica dallo stesso titolo, Una lezione di anatomia, che inevitabilmente per il suo linguaggio sentiamo più vicina al nostro gusto di lettori moderni (ecco l’incipit: “Ci è stato dato il corpo / Per tenere più vicino il nemico. / Per vigilarlo / E che non abbia tempo / Di appostarsi dietro un albero / Ad aspettare il nostro passaggio)”. E sul versante della prosa si potrebbe forse ricordare che uno dei romanzi dedicati da Philip Roth alle vicissitudini del suo professor Zuckerman si intitola proprio La lezione di anatomia.
Insomma, questa mostra che celebra i duecento anni delle Tavole di Mascagni ci consente di sottolineare che una biblioteca ‘generalista’ come la nostra ha anche il compito di offrire ai suoi frequentatori esempi in grado di contrastare l’annoso dissidio fra le ‘due culture’, individuando percorsi dove scienza, arte e letteratura interagiscono a vantaggio di un’unica idea di cultura.
