di DANILO SANGUINETI
Cinque stelle sono il marchio di eccellenza, il grado più alto assegnato dalle guide turistiche ai posti di intrattenimento più qualificati, infine il top della valutazione data per legge alle strutture ricettive con i maggiori comfort.
Oggi, anche non tenendo conto delle derive di marketing politico, è luogo comune per designare chi o cosa merita una considerazione al di sopra dei canoni. E che l’Agririfugio Molini sia non eccelso ma, come dicono i francesi, hors categorie – come alcuni colli pirenaici che solo i ciclisti più tosti possono scalare – si spiega non con tante parole ma con le semplici immagini di questo piccolo gioiello di recupero industriale, un antico frantoio posto su una balza del Monte di Portofino, per la precisione nel canalone che dalla vetta porta a San Fruttuoso.
Qui la dicitura “per molti ma non per tutti” riporta il criterio selezione alle capacità fisiche e non economiche di ciascuno. Per arrivarci e trascorrere giornate di relax a 360 gradi, lontani dalla massa e dalla confusione in qualsiasi periodo dell’anno si scelga di venire, serve un po’ di allenamento fisico e parecchia autodisciplina mentale. Niente stelle da struttura modaiola e neppure troppe luci artificiali a sottolineare l’eccellenza dell’Agririfugio, il che suona come duplice sfida nell’area degli alberghi di gran lusso e nella costa dei super esclusivi resort. Una scelta rischiosa e allo stesso tempo una visione che ha tutte le carte per imporsi se si riflette sulla probabile, forse forzata, evoluzione nel turismo dalle nostre parti nei decenni a venire. La scelta fatta venti anni fa con una discreta dose di incoscienza da parte dei cinque soci della cooperativa che ha affittato dall’Ente Monte Parco di Portofino il complesso non è mai stata rinnegata, anche perché l’azienda ha fatto centro da quasi subito. Tramite il passaparola prima, in seguito per mezzo di recensioni che scendono raramente sotto l’ampiamente positivo e che sfiorano spesso l’entusiastico trascritte sui vari siti specializzati (TripAdvisor, Booking.com), l’ostello-rifugio- ristorante si è fatto valere presso il circuito, questo sì in espansione robusta, del turismo consapevole e meditato che si fidelizza ed è disposto a spendere con una costanza e una larghezza che i barbari del mordi e fuggi manco si sognano.
La località è decisamente fuori mano, in un sito dove bisogna stare attenti a ogni filo di erba che si calpesta e a ogni pietra che si sposta, anche inavvertitamente: questo ne fa la sua forza più che il suo punto di debolezza perché l’asperità della salita, l’angustia degli spazi a disposizione è ampiamente ripagata dalla amenità della vista, dallo show dove l’unico artificio è la sveglia puntata ad orari impossibili per un cittadino in modo da godere di un panorama semplicemente incomparabile, che ogni mattina si rinnova sempre diverso e sempre meraviglioso. In una quinta a ‘V’, formata dai due contrafforti dell’antico vulcano che domina Portum Delphini, l’emiciclo ondoso che mai si placa sotto l’effetto delle correnti che turbinano attorno alla punta Chiappa, estrema propaggine del golfo Marconi, regala un concerto di sonorità bassa e struggente agli astanti.
Un po’ direttore di orchestra, un po’ scenografo, un po’ attore che ti svela il dietro le quinte dei suoi recital Andrea Leverone, presidente della cooperativa presenta il resto della compagnia e racconta la genesi di un progetto folle che solo chi è molto giovane e molto motivato poteva concepire. “Negli anni Novanta venne varata una legge regionale per il recupero dei territori del Parco che ne prevedeva anche la valorizzazione ambientale e agricola per sottrarla alla speculazione. Io sono di Camogli, venivo da esperienze in Toscana, lavoravo con l’Ente Parco, insegnavo educazione ambientale nelle scuole, pensai che si poteva creare un’azienda biologica con un contratto di tipo agricolo. In partenza eravamo io e due amici, Linda e Giulio, che aveva delle radici agricole., o meglio aveva esperienza diretta, si era ‘sporcato le mani con la terra’. La cooperativa nacque nel 2000 con quattro soci, ora siamo in sette. I lavori preparatori iniziarono due anni prima”.
All’inizio è stato difficile, gestire i rapporti con la società ‘Pietre strette’, il Parco, il comune di Camogli e poi trovare i primi finanziamenti. Un’attività faticosa che ha richiesto tempo e pazienza. Dal 2001 al 2005 i lavori preparatori per il recupero dei terrazzi, dei percorsi e degli uliveti invasi dai rovi. “Nella primavera 2005 il restauro della struttura in pietra, noi soci ci abbiamo messo le idee e le braccia, e non proprio in questo ordine…”.
Intanto arriva anche Emanuela, la fidanzata di Andrea, nasce Luce, nome che è veramente un programma perché corrisponde al tono solare della cooperativa Il Giardino del Borgo”.
Si pone massima attenzione alla scelta dei materiali e alle tecniche di restauro tradizionali. “Travi, travetti, pavimenti e solai, ad esempio, sono stati realizzati nella nostra falegnameria nel bosco utilizzando legno di castagno del Monte di Portofino. Per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, abbiamo scelto l’isolamento termico e l’utilizzo di fonti rinnovabili”.
Leverone più che da presidente parla da innamorato del suo agririfugio: “Io e i miei soci teniamo aperto dal 1° marzo sino al 30 novembre. Viviamo nelle vicinanze, io per esempio a Camogli, ma il nostro cuore è sempre li. Sul balzo a 200 metri quasi a strapiombo sul mare. Nell’antico mulino ristrutturato con tecniche e materiali ecocompatibili. Il fabbricato è raggiungibile solo a piedi, come è giusto che sia in un’area naturale protetta”.
Il completo isolamento e la ricchezza della natura mediterranea circostante unite alla semplice ma genuina accoglienza rendono Molini un posto unico al mondo. Per raggiungerlo il turista genovese, o foresto che sia, non ha che una scelta: scarpinare. Dal casello di Recco può imboccare l’Aurelia per Ruta di Camogli, da qui salire al posteggio gratuito di Portofino Vetta. E da lì scendere per circa 45 minuti, oppure approfittare del servizio battelli che partono dal porticciolo di Camogli o dai porti di Rapallo e di Santa e arrivano a San Fruttuoso, sbarcano e con circa venti minuti di ascesa arrivano.
È una passeggiata non alla portata di tutti, facilitata si badi bene dall’uso della teleferica che consente di liberarsi dal peso dei bagagli che vengono trasportati all’Agririfugio per via meccanica. I posti a disposizione dei clienti sono undici. “Abbiamo altrettanto posti letto, permessi gli animali domestici, si può restare una sola notte, come passarvi più giorni, si sceglie tra mezza pensione e pensione intera”.
Oltre ad Andrea, ci sono Filippo Curti (“Appassionato della natura e delle sue molteplici forme, provo e sperimento, poto e innaffio, con successi e delusioni”); Alessandro Sacchetti (“Mi dedico prevalentemente ai lavori agricoli e forestali dove ho fama di instancabile. All’occorrenza faccio ottime torte di mela”); Emanuela Chinchinella (“Vi accolgo al vostro arrivo e cerco di facilitare un piacevole soggiorno”); Emanuela Caneva (“Mi occupo un po’ di tutto con passione e gioia, fatica permettendo. Le mie specialità però sono la cucina, la preparazione delle posate e la birra. A tempo perso sono critica d’arte, massaggiatrice ed accompagnatore turistico”).
Giovani, in cammino, ma non dimentichi del loro retroterra, e non si sta parlando del paesaggistico. L’ultimo pensiero a sera, quando gli ospiti – a proposito la clientela, in costante aumento, è oramai equamente divisa tra italiani (non mancano i genovesi,) e gli stranieri che questo tipo di turismo lo adorano e lo praticano in massa da decenni – sono a nanna soddisfatti va al nume tutelare del posto, l’Angelina. “È stata l’ultima abitante della casa prima dell’abbandono, venne a vedere come la restauravamo, ci ha raccontato di come si viveva a Molini 60 anni fa. Il nostro principale vanto è che il panorama che Angelina vedeva dalla finestra non è cambiato di una virgola. Non manchiamo di mai mandarle un abbraccio con il pensiero”.
Gli eredi che rispettano il nume della casa. Virgilio sarebbe fiero di loro.