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Giovedì 2 ottobre 2025 - Numero 394

Shutdown 2025: la fine del compromesso bipartisan. Che cosa c’è veramente dietro al conflitto di bilancio

Secondo il Congressional Budget Office, ogni giorno di paralisi costa circa 400 milioni di dollari in salari sospesi
La Casa Bianca torna a essere la residenza di Donald Trump
La Casa Bianca torna a essere la residenza di Donald Trump
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MATTEO MUZIO *

Il primo ottobre 2025, alla mezzanotte di Washington, gli Stati Uniti hanno spento la macchina federale. Non per un attacco esterno, né per una crisi sistemica, ma per un fallimento interno: il Congresso non è riuscito ad approvare la legge di bilancio a causa delle mancate trattative tra la Casa Bianca di Donald Trump e l’opposizione democratica. Così la macchina del governo federale sta funzionando a livelli rallentati. Basti vedere cosa sta succedendo ai social dell’ambasciata americana in Italia: non vengono aggiornati fino allo sblocco dei fondi. È il sedicesimo shutdown dal 1976, ma quello attuale ha un sapore diverso. Più ideologico, più radicale, più pericoloso.

La causa immediata è nota: lo scontro tra repubblicani e democratici sulla sanità. I primi, guidati da Donald Trump, vogliono tagliare i sussidi dell’Obamacare in modo draconiano e riformare il programma del Medicaid, destinato agli americani più poveri. I secondi, forti di una minoranza che può attuare l’ostruzionismo al Senato, rifiutano ogni compromesso che non includa la proroga dei fondi dell’Obama. Il risultato è lo stallo e la chiusura a pezzi delle istituzioni pubbliche..

Ma dietro il conflitto di bilancio si cela una strategia più profonda: la politica del ricatto, unico strumento di pressione. Lo shutdown diventa uno strumento di pressione, un modo per ottenere concessioni su altri fronti legislativi. Non è più un incidente, ma una tattica. E come ogni tattica, ha un costo.

Secondo il Congressional Budget Office, ogni giorno di paralisi costa circa 400 milioni di dollari in salari sospesi. I dipendenti pubblici vengono divisi in “essenziali” e “non essenziali”: i primi lavorano senza stipendio che però viene ripagato al ritorno dei fondi, i secondi vengono messi in congedo forzato non retribuito. I parchi nazionali chiudono, le pratiche burocratiche si bloccano, i contratti pubblici si congelano. E la fiducia nell’amministrazione crolla.

La Casa Bianca, in un post su X, ha definito la crisi “Democrat Shutdown”, accusando l’opposizione di voler sabotare il governo, ribaltando quanto detto dal privato cittadino Trump all’epoca di Obama, accusando nel 2013 l’allora presidente di non saper trattare con l’opposizione. Qualche mese fa lo stesso Trump, a dicembre 2024, voleva mandare il governo federale in shutdown perché tanto “Biden ne avrebbe pagato il prezzo”. La novità più inquietante però è la minaccia da parte dele presidente di trasformare il congelamento temporaneo in licenziamento definitivo per migliaia di dipendenti federali. Un salto istituzionale che apre scenari imprevedibili.

Sul piano economico, la Federal Reserve, la banca centrale statunitense si trova in difficoltà. Senza i dati sull’occupazione la politica monetaria diventa cieca. E i mercati, già nervosi, reagiscono con cautela.

Lo shutdown del 2025 non è solo una crisi amministrativa. È il sintomo di una democrazia che ha smarrito il senso del compromesso. La polarizzazione trumpista non può portare a nulla di buono. E nemmeno quello che viene auspicato da alcuni commentatori di estrema destra, cioè la trasformazione dell’America in un governo autoritario a tutto tondo, può risolvere certe problematiche. Anzi, può portare il paese sull’orlo di una guerra civile che si preannuncerebbe ancora più sanguinosa di quella che si è svolta tra il 1861 e il 1865 tra il Nord libero e il Sud schiavista. Perché dividerebbe non solo gli stati, ma le comunità e le famiglie. Il frutto avvelenato di una politica che già a partire dagli anni ’90 puntava il dito più contro il nemico interno che contro le minacce esterne, come rimarcato da Trump in un discorso delirante fatto di fronte ai leader militari a Quantico, in Virginia. E tanti saluti a chi pensava a lui come a un presidente “pacifista”.

(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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