di DANILO SANGUINETI
“Fare il pesce in barile” senza passare per indifferente o peggio per codardo, è un lusso che in pochi possono concedersi. Tra essi Michele Senno da Sestri Levante che letteralmente stipa i pesci – nel dettaglio la specie messa nel suo marchio di fabbrica, “L’Anciua” – in contenitori di varie fogge e dimensioni. Si dedica a una particolare lavorazione di un pesce che è, o era, abbondantissimo nei nostri mari, ha creato una eccellenza della gastronomia ligure che sforna piatti trattati in una maniera che più tipicamente nostrana non si potrebbe. Centinaia di foresti da decine di anni calano sul Tigullio per apprendere i segreti di un’arte, quella della messa sotto sale delle acciughe, che per quanto ci si possa arrangiare con tutorial, video e manuali non può che essere assimilata con grande pazienza e grande dedizione nel tempo, possibilmente alla presenza di un pedagogo in carne e ossa, magari pure qualche spina…
Pescatore, figlio e nipote di pescatori il 48enne Michele Senno creò quasi nove anni orsono l’azienda alimentare “Anciua – Le acciughe di Sestri Levante”. Sede operativa a Casarza Ligure, piazza della Contrada, 11/R. Il titolare appartiene a una nota famiglia di Sestri, anzi, per non incappare in disfide paesane, di Riva Trigoso.
“Da generazioni andiamo per mare. Mio nonno aveva un peschereccio, mio padre pure. Abbiamo aperto diverse pescherie non solo a Sestri Levante. Io per esempio, che da quando avevo 19 anni ero nelle aziende della mia famiglia, ne gestivo una a Rapallo. Poi nel 2017 decisi di portare avanti e far scoprire una delle più antiche tradizioni del territorio, ovvero la salagione delle alici o acciughe, per i liguri le “anciue”. Inizialmente avevo una semplice licenza di ambulante per la vendita nei mercati locali, fiere e sagre. Quello di Casarza doveva essere solo il laboratorio dove trasformavo il prodotto: acciughe sotto sale, acciughe filettate in Olio EVO e poi salse tipiche della Liguria. Il laboratorio, un “buco” di 50 metri quadrati che nel tempo ho deciso di far diventare anche il negozio “L’Anciua”. Le vendite online, la partecipazione alle più importanti manifestazioni enogastronomiche del Nord Italia, i riconoscimenti su riviste importanti sia culinarie (“Sale e Pepe” e “Gambero rosso”) sia di promozione turistica (“Bell’Italia”) mi hanno fatto conoscere oltre i confini regionali. Oggi collaboro anche con l’Università̀ di scienze gastronomiche di Pollenzo e con Alma, scuola di cucina fondata da Gualtiero Marchesi. Con la Regione Liguria ho partecipato con dimostrazioni e degustazione prodotti presso lo Slow Fish e Terra Madre e anche a Golosaria con “La scuola dell’acciuga”.
Infine anche Carlo Cracco “mi ha contattato per saperne di più su questa tradizione della salatura e stagionatura delle acciughe. Oggi posso dire che i miei prodotti sono apprezzati ben oltre questa zona. In tutta Italia servo importanti enoteche, ristoranti e selezionatissimi negozi di alimentari. Una parte del mio business importante ma non tanto da trascurare la vendita diretta a privati, potendo contare diversi clienti affezionatissimi”.
Senno venendo dal borgo che ospita la Sagra del Bagnun, la zuppa di acciughe, piatto tipico dei pescatori, ha praticamente imparato ancor prima di camminare a lavorare sulle arbanelle (il tipico contenitore in vetro che serve per la conservazione del pesce) ripiene di acciughe debitamente salate.
La salatura delle acciughe è un’arte antica che affonda le sue radici nella storia delle comunità marinare liguri. Si tratta di una tecnica di conservazione che, con pochi ingredienti essenziali – pesce fresco e sale – trasforma un frutto del mare effimero in un alimento capace di attraversare le stagioni.
Senno conferma e aggiunge: “Questo mestiere, tramandato di generazione in generazione, non è solo un lavoro: è un patrimonio culturale fatto di gesti precisi, tempi di attesa e conoscenze che uniscono mare e terra. La commercializzazione delle acciughe sotto sale ha avuto, nei secoli, un ruolo fondamentale per l’economia costiera: permetteva di portare il gusto del mare lontano dai porti di pesca, diventando merce di scambio e ingrediente identitario di piatti tradizionali tipo la “bagna cauda”.
Oggi, in un mondo che corre veloce e privilegia la produzione industriale, la salatura artigianale resiste come simbolo di sostenibilità, qualità e legame con il territorio. Salvaguardarla significa proteggere non solo un prodotto, ma anche la memoria e l’identità di chi vive in simbiosi con il mare. Troppo spesso si dimentica il ruolo strategico avuto dall’umile alice nella formazione dell’impero genovese: l’acciuga diventò alimento di base e merce di scambio, tanto che la Repubblica di Genova ne controllava prezzi e filiera, imponendo tasse come la gabella piscium.
A Casarza hanno ben conscio che il viaggio dell’acciuga arriva da lontano. “C’era la “crociera dei 100 giorni”, quando tra maggio e agosto, i pescatori liguri (soprattutto di Camogli e Sestri Levante) salpavano verso l’isola di Gorgona per una lunga campagna di pesca. Portavano con sé famiglie e attrezzature, restando fino a Ferragosto.
La pesca avveniva spesso con la tecnica della menaide, selettiva e sostenibile, che garantiva acciughe di qualità superiore per la salatura. Oggi non è più possibile perché le condizioni climatiche profondamente mutate hanno complicato e di molto la pesca delle acciughe. Quest’anno in particolare è stato molto complicato, pochi esemplari, e di taglia ridotta tanto che debbo confessare che ho potuto completare meno arbanelle del previsto e che le ho dovute riservare solo ai clienti fissi. Il resto l’ho usato per i sughi a base di pesce e per i preparati per le salse”.

Oggi le Acciughe sotto sale del Mar Ligure sono protette da un marchio IGP (dal 2008), che certifica qualità e metodi di lavorazione fedeli alla tradizione.
Senno continua a salare le acciughe “come una volta” e contribuisce a mantenere vivo un sapere che è parte costitutiva della cultura identitaria della zona.
“Chiamatemi idealista ma sento molto questa missione. Per questo curo ogni particolare, dalla qualità della materia prima sono certo facendo affido sulla famiglia, non trascuro le condizioni ambientali del posto e dell’area di produzione (annullare gli eventuali rischi ambientali): le nostre lavorazioni sono artigianali, non subiscono nessun trattamento chimico (pastorizzazioni ecc.) quindi nessun pericolo di contaminazione sia del prodotto sia dell’ambiente.
La mia idea è sempre stata quella di produrre qualcosa che si possa tranquillamente fare anche in casa (proprio come facevano i nonni): semplicità e tradizione uniti a tanta passione per quello che mi è stato insegnato sin da piccolo. Altro mio principio fondamentale è la sinergia e la valorizzazione del territorio…qualsiasi cosa comprata dalla materia prima (pesce, olio evo) al packaging all’imballo e materiale di pulizia viene comprato in loco da aziende presenti sul territorio”.
Azione concreta e modello virtuale: “Il rapporto con chi mi viene a trovare non è e non deve essere commerciale: sono felice di incontrarli “live”, di poterli ospitare qui da me. Infatti diverse volte durante l’anno organizzo delle lezioni che, unite alla degustazione del prodotto finale serve a diffondere questa antica manualità che sta andando a perdersi”.
Artigiano e basta? No, anche e soprattutto ecologista e profeta dell’economia sostenibile. Non inganni la cordialità e l’apparente semplicità dell’acciugaio. Michele Senno ha girato il mondo e non solo a bordo di un peschereccio. Altrimenti come si spiegherebbe che in vetrina campeggi sotto la scritta e l’icona dell’acciuga europea (o alice o “Engraulis encrasicolus”) la definizione “Concept and sentimental Lab”? “L’Anciua”, un’opera di cuore ma anche di testa che diventa una pietra di paragone per l’umana esistenza. In effetti le attuali condizioni del mondo favoriscono una inquietante similitudine. Siamo ammassati l’uno all’altro, costretti da una volontà, forse superiore forse solo prepotente, a vivere in contenitori angusti e illusoriamente trasparenti. A pensarci si avverte anche il sale cosparso per durare di più. Siamo tutti acciughe. Almeno, come consigliano Faber e Fossati, “facciamo il pallone” per sfuggire ai predatori.