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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Si riaccendono i fuochi per preparare le trippe! Buona avventura a Christian Conti per il suo nuovo lavoro

Oggi diversi tagli non sono più commercializzati, per questioni igieniche o perché non più richiesti, ma la trippa continua ad essere un piatto conosciuto e caratterizzante la nostra cultura culinaria
La antica tripperia di via Rivarola ha riaperto i battenti grazie a un giovane commerciante
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di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *

La riapertura della storica tripperia di via Rivarola ha portato grande sollievo: gli amanti della cucina tradizionale potranno ancora comprare una preziosa materia prima, un ingrediente che si conferma parte importante della nostra storia dell’arte culinaria. 

In Società Economica è conservata una prima edizione di un libriccino “compilato” da Giovanni Battista Ratto e stampato a Genova nel 1863 dalla Tipografia Pagano; si tratta de “La Cuciniera Genovese ossia la vera maniera di cucinare alla Genovese”. Essendo il primo volume diffuso in materia, è divenuto un vero riferimento storico per quanti hanno indagato il valore culturale della ritualità del cibo, in particolare legandone le materie prime e le procedure di preparazione al rapporto col territorio. Questa è una chiave di lettura importante, un rapporto che si sviluppa in secoli di storia e permette d’indagarne le più remote origini.

Se riprendiamo in mano gli scritti di Luisella Gatti, in particolare gli studi sull’economia agricola del Chiavarese nel basso medioevo, abbiamo la possibilità di comprendere come i nostri orti e le colline si siano evoluti, come le colture si siano sviluppate e mutate nei secoli, garantendo tutto ciò che occorreva all’alimentazione dei residenti, e da questi riferimenti si sia sviluppata la cosiddetta “cucina tradizionale”. 

Qui abbiamo una prima considerazione: senza le produzioni derivanti dal territorio non può sussistere una cucina tradizionale. Il grande sollievo legato alla riapertura della Tripperia di via Rivarola lo si ritrova in questa immagine storica dove, ogni famiglia ne conservava la tradizione, si scelgono le quantità e gli specifici “tagli” della trippa da usare nella preparazione. Giovanni Battista Ratto ne riportava una “ricetta” che oggi conta più di centosessanta anni. Dalla carta ingiallita ritroviamo ingredienti e gesti che animano tutt’oggi le nostre cucine: “Provvedetevi prima quella quantità di trippa di cui abbisognate, procurando che sia di un giovane vitello e nel centopelle, tagliatela a sottilissime liste. Fate quindi rosolare in casseruola con burro e grascia e sale necessario, una cipolla, del sedano, del prezzemolo, un pugnetto di funghi secchi rinvenuti e carota, il tutto ben tritato insieme. Quando sarà ben rosolato gettatevi le trippe versatevi il sugo già preparato, e fate cuocere lentamente per un’ora. Servitela in tavola con buon cacio parmigiano”. 

La ricetta del Ratto risente del tempo passato: oggi il sugo, la polpa di pomidoro, è pronto, la parte relativa al condimento è sostituita dalla disponibilità di un buon olio extra vergine d’oliva. Il taglio della trippa da tempo era disponibile nella più ricca nomenclatura possibile: a gua, a beretta, u sentupelle, u gruppu, a caasetta, beeluchià (in Toscana lampredotto), a cufia, a rösa, i rissetti, u redagiun e a castagnetta. 

Oggi diversi tagli non sono più commercializzati, per questioni igieniche o perché non più richiesti, ma la trippa continua ad essere un piatto conosciuto e caratterizzante la nostra cultura culinaria. Nei tanti proverbi che richiamano questo ingrediente ne rammento uno sempre scandito da mio nonno Manuello, sedendosi a tavola e sistemando la fondina fumante con la trippa accomodata, alzava le mani e mi guardava per scandire: “giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa!”. Un adagio che rammentava come la cultura cristiana transitasse anche dalla tavola per dettare i giorni di magro, di digiuno o astensione dal consumo delle carni nel venerdì, dove il cibo non doveva prevalere, ma il sabato era il vero giorno del trionfo:  il piatto unico della trippa, ricca e profumata, di cui era assolutamente concesso il secondo piatto per tutti i commensali.

Mia nonna Esterina mi portava da Cavagnaro in via Rivarola; poi l’Antica Tripperia è stata gestita da Nicola “Mario” Tiscornia e dalla moglie Tina, che hanno proseguito la storica attività chiavarese. La tripperia storica di Chiavari, oltre al bellissimo banco di vendita in marmo ci ripropone l’antica preparazione con grandi caldaie, un tempo a legna, dove si buttavano le trippe a bollire; poi queste venivano appese in lunghe file ai ganci, ripulite dalle scorie e ribollite, dopodiché erano pronte per l’uso e presentate in vetrina. Grazie ad un giovane imprenditore la lunga chiusura è terminata, la porta si è riaperta, e possono riprendere gli inviti a chi ama questo piatto.

Oggi Christian Conti ha rindossato quel bianco grembiale che caratterizza il suo lavoro dietro il bancone, la vetrina espone i tagli e noi possiamo ripetere ai nostri ospiti quella domanda così ligure: voi mangiate la trippa? La domanda, spessissimo, non prevede un’unanimità di consensi; perciò la proposta delle trippe richiederà l’offerta di un piatto alternativo. 

E qui permettetemi una punta di cattiveria e di volontà di castigo: l’offerta, per coloro che non apprezzano le trippe, sarà quella di un piatto assolutamente banale e inconsistente! Un castigo benevolo, però, perché le trippe evocano il paradiso in un piatto!

Buon appetito a tutti, e auguri a Christian Conti per il suo nuovo lavoro.

(* storico e studioso delle tradizioni locali)

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