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di MATTEO MUZIO *
Le elezioni di midterm del 2026 si preannunciano tra le più polarizzate della storia recente americana: in gioco c’è il destino dell’agenda Trump, con i democratici che possono frenare per due anni gli abusi di potere di un presidente che appare sempre meno rispettoso della prassi costituzionale. Ma prima ancora che gli elettori si rechino alle urne, la vera sfida si combatte sulle mappe. In Texas e California, due stati simbolo della polarizzazione politica, il gerrymandering è tornato al centro del dibattito, con potenziali conseguenze nazionali.
In Texas, la battaglia per il controllo della Camera federale ha assunto toni drammatici. 57 deputati democratici hanno abbandonato lo Stato, rifugiandosi in Illinois e New York, per impedire il quorum necessario all’approvazione del piano repubblicano di redistricting. Il governatore Greg Abbott, su pressione di Donald Trump, ha proposto una nuova mappa elettorale che garantirebbe al GOP cinque seggi in più alla Camera, ridisegnando i distretti di Houston, Dallas, Austin e della frontiera con il Messico.
La fuga dei democratici ha bloccato temporaneamente la sessione legislativa, ma ha anche scatenato una reazione durissima dal sapore autoritario: Abbott ha ordinato alla polizia di localizzare e arrestare i deputati assenti, minacciando sanzioni e persino la rimozione dall’incarico. Il procuratore generale statale Ken Paxton ha definito la loro azione “codarda” e ha invocato l’intervento dell’FBI.
La mossa dei democratici, definita “necessaria per proteggere la democrazia texana”, ha ricevuto il sostegno del Partito Democratico nazionale, ma ha anche aperto una crisi istituzionale senza precedenti. Il redistricting a metà decennio, senza base censuaria, è considerato da molti osservatori una forma estrema di gerrymandering.
In risposta al piano di redistricting repubblicano in Texas, il governatore del Golden State Gavin Newsom ha annunciato l’intenzione di ridisegnare le mappe elettorali della California per “neutralizzare” ogni guadagno ottenuto dai repubblicani. “Se Texas e altri stati conservatori manipolano i distretti, noi faremo lo stesso. È tempo di combattere il fuoco con il fuoco”, ha dichiarato Newsom in un video diffuso sui social. Ha anche inviato una lettera a Donald Trump, avvertendolo: “Se non ritirerete il piano, guiderò personalmente lo sforzo per ridisegnare i distretti in California”.
Il piano prevede di sospendere temporaneamente l’indipendenza della commissione di redistricting, istituita nel 2010, e di sottoporre la nuova mappa a un referendum popolare già a novembre. L’obiettivo è spostare cinque o sei seggi oggi repubblicani verso i democratici, in modo da bilanciare le manovre texane. “Viviamo nello stato più anti-Trump d’America. I cittadini capiranno cosa è in gioco”, ha detto Newsom.
La proposta ha già suscitato forti reazioni: Arnold Schwarzenegger, promotore della commissione indipendente e ultimo governatore repubblicano, ha annunciato che si opporrà al piano, mentre Charles Munger Jr., finanziatore delle misure referendarie del 2010, ha promesso una campagna contro. Newsom, tuttavia, ha ricevuto il sostegno di leader democratici come Nancy Pelosi, Zoe Lofgren e Robert Rivas, che hanno definito il piano “una difesa necessaria della democrazia”.
Secondo il Cook Political Report, oltre il 90% dei seggi alla Camera è considerato sicuro per uno dei due partiti. In 30 stati, non esiste nemmeno un distretto competitivo. Questo significa che le vere elezioni si svolgono nelle primarie, dove vota una minoranza spesso più radicalizzata. Nel 2024, l’87% dei seggi è stato deciso da appena il 7% degli elettori.
La polarizzazione cresce, mentre la rappresentanza si riduce. E se Texas e California riusciranno nei loro intenti, il 2026 potrebbe segnare un ulteriore passo verso una democrazia “blindata”. E il rischio è che, ancora una volta, a vincere siano gli interessi di partito. E a far la parte del leone , ancora una volta, sarà Donald Trump.
(* fondatore e direttore della piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’)