Venerdì alle ore 17, presso la Società Economica di Chiavari, in via Ravaschieri 15, viene presentato il libro ‘La panchina della guerra fredda’, scritto da Oreste De Fornari e pubblicato da Internòs Edizioni (ingresso libero). Introduzione a cura di Giorgio ‘Getto’ Viarengo e letture di Guido Roncalli e dello stesso Oreste De Fornari. Pubblichiamo una recensione del libro a cura della nostra editrice, Sabina Croce.
di SABINA CROCE
Dici il nome, Oreste de Fornari, e subito gli angoli della bocca e degli occhi si sollevano in un sorriso.
Perché Oreste è così: garbato, intelligente, arguto, coglie nel segno e sorride. Le linee che traccia sono nitide e sottili come le impronte del passerotto sulla neve. Ma del passerotto ha anche la beccata veloce e precisa, che porta a casa il bottino.
A somiglianza del suo autore, veloce e precisa è anche questa piccola pièce, dove la ‘panchina della guerra fredda’ è forse un doppio richiamo all’età dei protagonisti, due ultrasettantenni, al clima culturale in cui sono cresciuti, ed al tempo stesso alla trattenuta, inesplosa ferocia della relazione tra loro.
I due si incontrano, in maniera apparentemente casuale, in un parco pubblico genovese. Uno di loro occupa una panchina, intento a risolvere le parole crociate, l’altro gli chiede un’indicazione. Viene subito fuori che i due non soltanto si erano già conosciuti e frequentati anni addietro, ma che addirittura erano stati compagni di scuola, quasi sessant’anni prima, dai gesuiti. Ne nasce un dialogo in cui si mescolano, come tessere di un puzzle che si compone piano piano, le frasi fatte del dibattito pubblico odierno e i ricordi lontani, molto più personali, che affiorano a poco a poco e insinuano nella conversazione una nota acida, come di qualcosa di mal digerito nonostante il passare degli anni.
Le opinioni sulle cose dell’oggi servono ai due, come a tutti noi, come elementi di posizionamento politico e sociale, un po’ come un tempo abiti, insegne e sigilli rendevano riconoscibili gli appartenenti a gerarchie militari od ecclesiastiche, a corporazioni o a classi sociali. Ma ciò che piano piano si infiltra nella conversazione sono i ricordi personali: gli sfottò apparentemente bonari, i piccoli rancori mai del tutto metabolizzati, le contrapposizioni che sotto il drappo dell’ideologia, gran maschera comune di quegli anni, affondavano le radici nelle insicurezze di due adolescenti diffidenti, astiosi e in fondo impauriti.
Uno dei due, emerge, faceva parte della classe dominante, la famiglia annoverava capitani d’industria e monsignori, e in qualche modo ha ancora potere in città. Ma lui non ne sembra particolarmente soddisfatto, ha altro a cui pensare. L’altro aveva velleità di affermazione personale, forse anche le doti, ma in qualche modo la vita non gli è riuscita come avrebbe sperato.
Il dialogo è molto divertente, anche se i riferimenti ad una stagione culturale e politica ben definita temo saranno capiti appieno solo dai coetanei, che però di certo se li godranno assai. Alla fine, nel crescendo degli attriti tra i due, escono fuori, una dopo l’altra, due rivelazioni di natura personalissima, tali da poter cambiare la temperatura della guerra di cui al titolo: in cauda venenum. Ma non ci si fa troppo male, il tempo che passa attutisce ogni cosa.
E poi, siamo in casa De Fornari. Si esce di scena col sorriso, anche se un po’ amarognolo.
Oreste De Fornari
La panchina della guerra fredda
Internòs Edizioni, 2024
