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Giovedì 23 ottobre 2025 - Numero 397

L’Arte Campanaria tradizionale patrimonio dell’umanità: il fortissimo legame con il Tigullio e con il Levante ligure

Queste caratteristiche culturali erano già state affermate nel 2006, quando a Chiavari si incontrarono le rappresentanze dei suonatori di campane giunte da tutta Italia per il loro raduno nazionale
L'arte campanaria, fortemente radicata nel Tigullio, è diventata patrimonio dell'Unesco
L'arte campanaria, fortemente radicata nel Tigullio, è diventata patrimonio dell'Unesco
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di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *

Nei giorni scorsi il Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale ha decretato l’estensione all’Italia del riconoscimento Unesco dell’‘Arte Campanaria tradizionale’ come elemento del Patrimonio Culturale Immateriale. Questo importante riconoscimento riguarda in modo particolare il Tigullio e il Levante Ligure, dove da secoli la cultura campanaria costituisce un importante epicentro fortemente rappresentativo della nostra identità. 

Queste caratteristiche culturali erano già state affermate nel 2006, quando a Chiavari si incontrarono le rappresentanze dei suonatori di campane giunte da tutta Italia per il loro raduno nazionale. Quel giorno piazza Matteotti era letteralmente invasa da questi suonatori popolari. L’intera area ospitava i grandi telai di carpenteria per sorreggere i diversi concerti, ognuno con particolarità organologiche per permettere le esibizioni con le più svariate tecniche esecutive.

Questo è davvero uno dei tanti particolari che fanno dell’arte campanaria un fenomeno storico e culturale unico, legato alle diverse interpretazioni riscontrabili nell’intera Liguria e in tutta la Penisola. In questa occasione mi ero ritrovato a studiare, rilevare e riordinare i tanti dati rilevabili nel Tigullio. Il primo aspetto era proprio il nostro territorio come luogo di diffusione e conservazione di questa particolare forma musicale, dove le campane, i campanili, e l’intera complessità di questi congegni sono ancora in grado di comunicare con le più vaste comunità.

Il termine comunicare significa che dai tempi più lontani il suono delle campane, con i rintocchi e le diverse suonate, costituivano un linguaggio condiviso e assolutamente riconoscibile. Un esempio: in diverse comunità si utilizza tutt’oggi il segnale dell’agonia, una serie di colpi cadenzati, in un numero tale da poter indicare, come un vero codice, se il morto è un uomo o una donna. Oppure, il lento e ampio suono del campanone della cattedrale di Chiavari, tutti i giorni dell’anno, escluso il venerdì santo, a segnalare, alle sette del mattino, l’apertura del santuario per la prima messa.

In diverse occasioni ho registrato suonate di campanari, alla Madonna del Ponte a Lavagna, alla Chiesa di San Michele a Ri, a San Tommaso del Curlo. Questi sono solo esempi di concerti eseguiti da campanari della tradizione, in luoghi dove è possibile riscontrare un vero metodo esecutivo locale. 

Il metodo più diffuso è quello di una tastiera collegata ai “bataggi” delle campane. Il suonatore tiene tra le mani due pestelli e con questi percuote i tasti collegati ai “bataggi” producendo le note, oppure, colpendo due tasti contemporaneamente, creando un accordo: è il metodo più diffuso nel Tigullio. Naturalmente si possono ascoltare anche qui concerti con più campane: la tastiera avrà di conseguenza più tasti e permetterà melodie ben più complesse. 

Altro metodo esecutivo è quello denominato a “cordette”, in cui il suonatore è seduto e solleva di poco i piedi da terra, con gli arti superiori e inferiori collegati alle “cordette” che muovono il “bataggio” per emettere il suono. 

Talvolta, in entrambi i metodi, è possibile avere un assistente, un campanaro che tiene la campana più grande “a gottu”, a bicchiere, cioè sollevata in alto. Questa campana viene fatta cadere al momento opportuno e chiude il fraseggio della melodia eseguita. La campana prosegue per essere nuovamente fermata al punto morto superiore e poi messa ancora in ricaduta a chiudere un nuovo fraseggio melodico.

I campanari tigullini sono portatori di due specifici repertori: uno sacro e uno profano. Le suonate sacre seguono il repertorio tipico dell’andamento delle festività religiose, con l’esecuzione di tutto il repertorio dei canti e inni appositamente trasferiti nel linguaggio esecutivo del concerto campanario; naturalmente l’adattamento rispecchia il numero di campane presenti e disponibili.

Spesso l’esibizione era anticipata dai “ciocchetti”, colpi eseguiti con la campana con la nota più acuta, una sorte di segnale per richiamare l’attenzione degli astanti. Il clima di festa che seguiva la celebrazione religiosa attivava l’altro repertorio, con l’esecuzione di danze, valzer, polche; con un po’ di pazienza si possono rinvenire persino dei “perigordini” e delle gighe.

Il nostro territorio, in particolare nella zona di Recco e di Uscio, può vantare un’attività artigiana di grande valore storico negli orologi da torre, i Terrile e Trebbino, che hanno valso a questo ambito il nome della “Valle del Tempo”. Qui da secoli si realizzano i congegni per gli orologi delle torri civiche e campanarie, macchine capaci di muovere grandi lancette e attivare i suoni delle ore o meccanizzare l’intero concerto. 

Sempre in questa terra ritroviamo la secolare attività dei Picasso in Avegno; loro custodiscono l’antico sapere del fondere le campane, rendere il suono voce dell’intera comunità. La fusione di un concerto mobilitava l’intera comunità e sapeva realizzare concretamente il significato di fede e tradizione. 

Credo che il riconoscimento dell’Unesco sia assolutamente condivisibile, e c’è solo da augurarsi che il suono delle campane possa tornare ad essere una delle voci della nostra terra, un suono che da secoli vive nell’aria delle comunità, tra festa e fede, identità della nostra presenza in questa terra del Tigullio.

(* storico e studioso di tradizioni locali)

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