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Giovedì 11 settembre 2025 - Numero 391

‘Lolita’, storia magistrale di un’ossessione

Una cavalcata nella follia, un capolavoro del Novecento: lo stile è raffinatissimo, la struttura è diabolica, il ritmo non perde un colpo
Lolita di Nabokov è uno dei capolavori assoluti del Novecento
Lolita di Nabokov è uno dei capolavori assoluti del Novecento
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di SABINA CROCE

‘Lolita’, il romanzo più famoso di Vladimir Nabokov, è uscito nel 1955 presso un editore francese specializzato in pubblicazioni ‘spinte’, dopo esser stato rifiutato da ben quattro editori americani. Lo scandalo che il libro suscitò in quegli anni, prima in Francia dove fu ritirato dopo pochi mesi, poi in America e in tutto il mondo occidentale, probabilmente non ha avuto eguali nella storia letteraria del novecento; ed ha contribuito certo in maniera determinante tanto alla sua fortuna commerciale quanto alla sua influenza sui costumi sessuali degli anni a venire. 

Come tutti sanno, il libro racconta la relazione tragica tra un professore quarantenne ed una ragazzina di poco più di dodici anni. Lungi dall’essere un romanzo osceno, però, ‘Lolita’ è la cronaca fedele e claustrofobica della disgregazione progressiva di una psiche squassata da un’ossessione. 

Il tormento fatale che trascina verso la rovina è un tema letterario non nuovo; nella letteratura americana il primo esempio che viene alla mente (ma non il solo) è ‘Moby Dick’. In ‘Lolita’ però l’ossessione, anziché essere incarnata in un oggetto simbolo e raccontata dall’esterno, scatena la sua forza distruttrice da dentro il protagonista narrante.

Si tratta di un’ossessione di natura sessuale che va di pari passo con la colpa. Il protagonista, il professor Humbert Humbert, percepisce infatti la propria propensione erotica come spregevole e oscena, o meglio sa che così è  percepita dallo spirito del tempo, e ne soffre dall’inizio alla fine, pur senza riuscire a suscitare nel lettore  la minima simpatia (al massimo pena ).

È proprio antipatico, infatti, il professor Humbert. Proveniente dalla Vecchia Europa ed accolto in America, con grande rispetto per la sua raffinata cultura, egli trasuda invece disprezzo per la naïveté americana, per la volgarità e la mancanza di stile del mondo nuovo. 

Agli occhi di Humbert non si salva nessuno (men che meno lui, va detto). E di tutti gli esseri umani che egli incontra nel libro, il disgusto che questi gli ispirano viene espressionisticamente rappresentato con difetti di natura fisica: facce gonfie, ventri sporgenti, seni flaccidi, in una equivalenza estetica con tare interiori degne di altrettanto disprezzo.

La trama (avendo il libro quasi settant’anni non mi preoccupo di eventuali spoiler): il professor Humbert, da tempo conscio di una sua disdicevole propensione erotica per le bambine sulla soglia della pubertà, e per questo già reduce da trattamenti psichiatrici e psicoterapici di varia scuola (che lui accomuna tutti nello stesso altezzoso disprezzo) sposa una vedova che gli dimostra interesse al solo scopo di tenersene vicina la figlia dodicenne, la quale ha scatenato in lui la passione che gli si rivelerà fatale. 

Il racconto inizia lento, tanto che dopo una sequela abbastanza lunga di deliqui su gambe appena velate di lanugine e fragili scapole sporgenti dalla cotonina a quadretti di un vestitino infantile si inizia davvero a credere di essere finiti in un romanzo erotico. Poi inizia la tragedia, e il ritmo accelera.

Per Lolita, e per le creature come lei, il professore conia il termine di ‘ninfetta’; la definizione, a seguito dell’immensa popolarità del romanzo, ha poi subito una volgarizzazione che dubito sia piaciuta all’aristocratico e raffinatissimo autore. In realtà la ninfetta è letteralmente una ‘piccola ninfa’: piccola di età, ma a tutti gli effetti una di quelle terribili, demoniache creature mitologiche che dai tempi dell’Olimpo dei greci sono capaci di assumere sembianze umane e di determinare, a ragion veduta o a capriccio, la perdizione degli uomini che hanno la sventura di attraversarne il percorso.

Come si conviene ad una tragedia, all’inizio il fato interviene ad ‘aiutare’ lo sventurato Humbert. La povera disprezzata moglie muore investita da un’automobile proprio nel momento per lui più opportuno, lasciando Lolita nelle mani del patrigno; una Lolita tutt’altro che inerme, però, anzi ben cosciente del suo  potere e  decisa a servirsene, sia pure nei limiti della sua piccola età : un gelato, un ninnolo, un aumento di paghetta sono via via le ricompense per la sua condiscendenza e il suo silenzio.

Ma la colpa non si lascia ignorare facilmente, e così per Humbert e ‘Lo’ inizia una lunga fuga ‘on the road’ tipicamente americana ( quanti ne abbiamo poi visti, di film così  costruiti?): la disperazione su gomma, miglia su miglia macinate in macchina consumando il peccato e tentando di sfuggire alla punizione, quando invece la corsa, lo sappiamo già tutti, è destinata al precipizio.

Un’interminabile successione di motel tutti diversi e tutti uguali, di portieri sospettosi o indifferenti, di pareti di cartone incapaci di coprire i rumori degli sciacquoni accoglie ogni notte i due fuggitivi. Sullo sfondo la grandiosa maestosità dei panorami americani.

Con la fuga e con la colpa arrivano anche le paranoie, il sospetto di essere inseguiti, l’ombra di un ‘poliziotto’ misterioso che sembra non poter essere seminato, così come un uomo non si può separare dalla propria ombra.

Finché un giorno Lolita sfugge al suo carceriere, ‘portata via’ da (o ‘scappata con’) un personaggio misterioso che da quel momento sarà la nuova ossessione di Humbert.

E qui il racconto, che si svolge tutto sotto forma di monologo scritto dal detenuto Humbert a beneficio di una giuria che dovrebbe giudicarlo di un imprecisato omicidio, si fa via via meno lineare, più incoerente; e la costruzione logica della vicenda si scardina di pari passo con la tenuta psichica del narratore. 

Nella ricerca di Lolita e del suo ‘rapitore’ (o complice) Humbert ripercorre a ritroso i luoghi del loro vagabondaggio, ricercando ossessivamente le tracce lasciate dal misterioso inseguitore; tracce indecifrabili per chiunque ma leggibili per Humbert, come se tra i due vi fosse una comunicazione privilegiata, una coincidenza di pensiero riconducibili solo al delirio paranoide del professore. I segnali sono rimandi letterari, citazioni coltissime nascoste con metodo enigmistico nei registri dei motel, e diventano la lingua di un dialogo folle tra il professore e quello che sempre più appare come un suo doppio allucinatorio, irridente e minaccioso allo stesso tempo. 

Due anni dopo la sua fuga Lolita si rifà viva con Humbert. Non ha ancora diciassette anni, ha sposato un giovane di modesta condizione, è incinta, prossima al parto e ha bisogno di soldi.  Ragazzina avida e mediocre, Lolita si era aggrappata ad Humbert per liberarsi della stretta opprimente della madre. Lui invece l’amava, l’infelice pedofilo, e ancora l’ama; benché lei, non più bambina, anzi gonfia e pesante per l’avanzata gravidanza, non conservi più che debolissime tracce di ciò che l’aveva sedotto, la vorrebbe ancora con sé. Ma Lolita lo ignora, prende tutto il denaro che lui le può offrire e procede verso il suo destino. La ninfa che l’abitava, portato a termine il suo compito di distruzione, ne abbandonerà le spoglie segnandone la fine; per migrare, probabilmente, verso altre vittime. 

Persa per sempre Lolita, ad Humbert non resta che officiare il rito supremo della distruzione del ‘rivale’.

Lo scova, finalmente, questo essere misterioso che forse esiste e forse non è che una sua proiezione meritevole di punizione; lo raggiunge e lo uccide, in maniera così plateale, in una specie di mattanza al rallentatore, in una casa che a un certo punto si riempie di gente , da parere impossibile che nessuno si accorga di nulla . Sempre che la carneficina sia avvenuta davvero…Non che sia rilevante, del resto. 

Humbert muore di infarto mentre si trova detenuto, in attesa di processo. 

‘Stile e struttura sono l’essenza di un libro’, ha detto Nabokov. E qui lo stile è raffinatissimo, la struttura è diabolica, il ritmo non perde un colpo. Una storia di cui non ci si libera facilmente, un capolavoro del Novecento.

Lolita, di Vladimir Nabokov
Adelphi 1996 (16a edizione 2006)
Traduzione di Giulia Arborio Mella

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