di ALBERTO BRUZZONE
I dehors sono un elemento di socialità e di arredo urbano, ma vanno gestiti secondo regole precise e con molta attenzione e altrettanto senso estetico. Del tema si è parlato parecchio nei giorni scorsi, anche in relazione alla tassa sull’occupazione del suolo pubblico che ai gestori dei locali era stata condonata durante la pandemia, proprio perché i dehors garantivano il distanziamento sociale e la possibilità di consumare all’esterno.
Ora tutto quell’impianto normativo non esiste più e molti comuni sono tornati a far pagare il cosiddetto suolo pubblico. Il dibattito è aperto: troppi dehors, troppo caos nei centri urbani e troppi cittadini e turisti costretti a fare lo slalom tra sedie e tavolini per poter passare? Oppure una bella immagine e una bella sensazione di vitalità? I pareri sono molti.
Paolo Raffetto, già presidente dell’Ordine degli Architetti di Genova e oggi membro della Commissione Conservazione e Beni Culturali che si occupa, tra gli altri argomenti, proprio dei dehors, espone le proprie riflessioni: “Ho seguito la stesura delle linee guida da parte del Comune di Genova e ritengo, in generale, che ogni civica amministrazione debba occuparsi della questione ponendo delle regole precise. I dehors sono normati quasi ovunque in tutta la Liguria e sono quindi soggetti sia all’approvazione dei comuni che a quella della Soprintendenza. La situazione è molto più ordinata e corretta rispetto a quella di qualche tempo fa”.
Raffetto si riferisce, in particolare, al periodo del Covid: “È stato apprezzato, a cominciare dai gestori, il fatto che si sia riusciti a rendere più vitali gli spazi pubblici. Molti dehors esistevano già, altri hanno sottratto un po’ di parcheggi, ma poi hanno restituito spazi pubblici a funzione della città, quindi questo aspetto è stato positivo. Le linee guida tendono a standardizzare, in cambio di una qualità media, perché l’aspetto estetico è importante, specie nei centri storici”.
Ad esempio, si evitano ombrelloni con i marchi di birre, gelati o altre tipologie di prodotti, e lo stesso vale per le sedie: “Il percorso ottimale – sostiene Raffetto – sarebbe quello di un approccio di tipo unitario, attraverso l’accordo tra due o più gestori, ad esempio sulla stessa piazza. L’uniformità è certamente un processo virtuoso. È giusto che chi si adegua alle regole possa godere di sconti sulla tassa di occupazione suolo pubblico, è un incentivo al decoro. E poi, i dehors sono anche un ottimo presidio sociale, quindi ogni tipo di apertura, se pensata bene, è da accettare volentieri”.
Secondo la bozza del recentissimo decreto ‘Salva casa’, i dehors installati soprattutto da bar e ristoranti durante l’epoca del Covid per accogliere i clienti potranno restare. La misura che fa la gioia degli esercenti, e di chi cerca disperatamente un tavolo all’aperto il fine settimana con la bella stagione, ma meno per chi abita nei quartieri della movida, è contenuta nel testo. “Le strutture amovibili realizzate durante l’emergenza Covid per finalità sanitarie, assistenziali, educative e mantenute in esercizio alla data di entrata in vigore del decreto possono rimanere installate in deroga al vincolo temporale in presenza di comprovate e obiettive esigenze idonee a dimostrarne la perdurante necessità”. Resta comunque ferma la facoltà per il comune territorialmente competente di richiederne in qualsiasi momento la rimozione.
Peraltro, il ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso ha già presentato una proposta per la liberalizzazione dei dehors. Secondo la Fipe, la federazione di Confcommercio degli esercizi pubblici, tre italiani su quattro promuovono i dehors per strada perché “producono effetti positivi per l’immagine della città”. E intanto il dibattito prosegue.