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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Dune – Parte due: oltre lo spettacolo, certe scene restano indimenticabili

Nel sequel non solo le location vengono rinnovate e i combattimenti appaiono sempre più grandiosi e spettacolari, ma pure emergono dubbi riguardo ai confini tra Bene e Male
Dune - Parte due di Denis Villeneuve: con molta probabilità lo ritroveremo agli Oscar 2025
Dune - Parte due di Denis Villeneuve: con molta probabilità lo ritroveremo agli Oscar 2025
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di DANIELE LAZZARIN *

Un messaggio ci è giunto dalla cerimonia degli Oscar 2024 – peraltro poco memorabile e priva di sorprese – attraverso le parole, già fonte di polemiche, di Jonathan Glazer, autore de La zona d’interesse (miglior film internazionale): la disumanizzazione e l’anestesia morale rappresentate nel film con effetto altamente straniante, tanto agghiaccianti da apparire surreali in quella che è invece realtà storica, ora riguardano il presente, non il passato. A sua volta Cillian Murphy, premiato come miglior attore e protagonista del film vincitore, Oppenheimer (per il quale rimandiamo alla precedente recensione su ‘Piazza Levante’ del 31 agosto 2023), stabilendo una relazione tra il conflitto in cui ha operato il padre della bomba atomica e i conflitti del presente, ha dedicato il suo premio ai costruttori di pace. Così il capolavoro di Nolan dimostra come nel mondo dei blockbuster di maggior impatto spettacolare e di maggior successo di botteghino sia entrata insieme alla qualità tecnica la questione morale.

Su un percorso analogo si muove  Denis Villeneuve con Dune – Parte due, che con ogni probabilità ritroveremo candidato agli Oscar 2025, considerando che già la prima parte del 2021 ha ricevuto sei premi. Nel finale del film del 2021, epico e avventuroso, Chani (interpretata da Zendaya, in concorrenza con Emma Stone per eleganza agli Oscar) avvertiva: «Questo è solo l’inizio». E in effetti nel sequel non solo le location vengono rinnovate e i combattimenti appaiono sempre più grandiosi e spettacolari, ma pure emergono dubbi riguardo ai confini tra Bene e Male, in quello scontro che è sempre al centro della materia epica, e una problematicità che forse troverà pieno sviluppo nel terzo episodio, ispirato a Messia di Dune, secondo romanzo del  fantascientifico Ciclo di Dune, ideato a partire dal 1965 da Frank Herbert.

All’inizio di Dune – Parte due la principessa Irulan (Florence Pugh), figlia dell’imperatore Shaddam IV (Christopher  Walken), attenta e riflessiva cronista di ciò che accade, esprime il dubbio o forse la segreta speranza che Paul Atreides (Timothée Chalamet) sia sopravvissuto alla strage della sua casata, operata dagli Harkonnen per il controllo di Arrakis, il pianeta di sabbia dal nome segreto di Dune ove si raccoglie la psichedelica Spezia (melange), sostanza che, oltre a conferire straordinari poteri, è fondamentale per i viaggi interspaziali. Lo studio di Irulan è ambientato in un luogo straordinario ed evocativo: il Memoriale Brion, ora proprietà del FAI, a  San Vito di Altivole sullo sfondo della campagna trevigiana, dove riposano i coniugi Brion e lo stesso architetto Carlo Scarpa, che lo progettò e lo ebbe tra le sue opere più originali e care. Si tratta di una location fortemente voluta dallo scenografo Patrice Vermette, già premio Oscar, che simbolicamente riassume alcuni aspetti dell’opera di Herbert nella sua atmosfera atemporale, in cui convergono passato, presente e futuro e in cui si armonizzano, in un sincretismo di forme e suggestioni architettoniche, religioni e filosofie diverse. È uno spazio meditativo che si addice alla personalità di Irulan, ma non ai conflitti che pervadono il mondo sconfinato e distopico di Dune, caratterizzato da un sistema neofeudale da cui è stata bandita l’intelligenza artificiale per non “sfigurare” l’animo umano, sostituendo però la tecnologia con la selezione genetica e con il potenziamento delle facoltà psichiche, secondo un piano misterioso e segreto portato avanti dalla forza oscura, ma presente ovunque vi siano organi di potere, della sorellanza delle Bene Gesserit (nome che richiama l’espressione latina  “quamdiu se bene gesserit”, cioè “finché si comporterà bene”). 

Le Bene Gesserit, guidate dalle Reverende Madri, le più potenti e avanzate nella pratica, tra cui come interpreti Charlotte Rampling e Rebecca Ferguson, madre di Paul, hanno diffuso tra i Fremen (uomini liberi?), cioè gli abitanti ribelli di Arrakis, l’attesa di un Mahdi, una sorta di messia, che trasformerà il loro pianeta in un paradiso ecologico, ma loro stesse progettano la creazione di una figura superiore che unirà le casate e dominerà il tempo, lo spazio e l’universo. È nella figura del Mahdi che infine si identificherà Paul Atreides, nonostante lo scetticismo di Chani, la ragazza che egli ama ricambiato, ma che considera queste credenze solo uno strumento di controllo delle coscienze. Quindi, guidati dallo sguardo dubbioso e sentimentalmente ferito di Chani, finiamo per chiederci se Paul sia veramente un eroe o finisca per lasciarsi sedurre dal potere, e se i Fremen, che superficialmente richiamano, nel linguaggio e nelle usanze, le popolazioni berbere dagli occhi azzurri e il mondo arabo e islamico, siano guidati da un  desiderio di libertà e di emancipazione o da gruppi di fondamentalisti; Herbert sicuramente era influenzato dagli eventi del suo tempo e dalle lotte per il controllo delle risorse petrolifere, ma lo sguardo di Villeneuve è necessariamente cambiato e ci pone nuovi interrogativi.

Del resto il finale aperto di Dune – Parte due inevitabilmente appare assai diverso dalla conclusione di Dune del 1984 di David Lynch, in cui il romanzo di Herbert era completamente adattato e condensato, con conseguenze negative sull’efficacia e sulla comprensibilità dell’intreccio: lì Paul, interpretato da Kyle MacLachlan, dopo il duello all’ultimo sangue con Feyd-Rautha Harkonnen, interpretato da Sting (tutto il cast è stellare), come una figura messianica e ispirata fa miracolosamente piovere su Arrakis e crea quel paradiso tanto atteso dal suo nuovo popolo. 

Villeneuve, dopo il successo di Arrival e il grande rischio di Blade Runner 2049sequel del celebratissimo capolavoro di Ridley Scott, ha veramente affrontato un’altra sfida mettendo mano all’adattamento dell’opera di Herbert, già fonte di ispirazione di George Lucas per Guerre stellari, di Kubrick e di Spielberg, ma di delusione per Alejandro Jodorowsky, che negli anni settanta aveva cercato di trarne un film colossale, sintesi dell’estetica e dell’ideologia psichedelica, senza trovare i necessari finanziamenti (il tentativo e i suoi esiti sono narrati nel documentario Jodorowsky’s Dune del 2013). Lynch, poi, considerò “un enorme fallimento” la sua realizzazione, soprattutto a causa dei tagli che gli furono imposti, sebbene non vi manchi il tocco della sua ironia. Da Herbert deriva anche una miniserie televisiva del 2000 e il suo seguito, con un divertente Giancarlo Giannini nelle vesti dell’imperatore Shaddam IV.

Restano indimenticabili in Dune – Parte due, girato interamente con il sistema IMAX, molte scene e presenze che parlano direttamente al pubblico, secondo la concezione di Villeneuve del cinema come pop art: le apparizioni dei giganteschi vermi delle sabbie, fondamentali nel fantastico ecosistema di Arrakis, che non fanno rimpiangere quelli creati per Lynch da Carlo Rambaldi, maestro di effetti speciali; le visioni di sterminio e di morte che accompagnano i sogni profetici di Paul, che presagisce  quale sarà il prezzo della sua ascesa; le immagini algide, in bianco e nero, di Giedi Primo, il pianeta degli Harkonnen dal sole nero, distaccato dalla natura, e le sinistre scene dei loro giochi gladiatori e delle loro parate, emblema perenne dei regimi cresciuti all’insegna della disumanità e della brutalità. E per contrasto, sullo sfondo del deserto della Giordania, nell’ora d’oro, breve e magica, del tramonto, cogliamo il crescere dell’amore fra Paul e Chani, che nel suo sguardo e nel suo allontanarsi, quando crederà tradito quel sentimento, sembra indicarci che sarà lei la futura eroina.

(* docente di cinematografia e di linguaggio cinematografico)

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