(r.p.l.) È stata una delle più importanti poetesse del Novecento, ma meno ricordata di quanto avrebbe meritato. È stata e non è più da dieci anni. Era il 26 febbraio del 2014 quando, a Lavagna, si spegneva Elena Bono, la scrittrice e letterata che per anni visse a Chiavari, facendone la sua città d’adozione.
Con disappunto da parte di alcuni, non c’è stata nessuna manifestazione ufficiale per ricordare questa ispirata e profonda autrice, “ma siamo in tempo per organizzare un’iniziativa”, promette Enrico Rovegno, vice presidente della Società Economica e responsabile della Biblioteca, nonché amico personale di Elena Bono. È spiaciuto il silenzio del Comune, e un po’ è spiaciuta anche la polemica tra l’ex assessore Emilio Cervini e l’attuale assessora Silvia Stanig, perché non hanno niente a che vedere con l’essenza stessa della poetessa, con il suo modo di essere, con quello che ha scritto e ci ha lasciato.
Elena Bono è considerata una delle maggiori scrittrici del secondo dopoguerra, è stata tradotta all’estero e corteggiata da Pier Paolo Pasolini, “che voleva fare un film da un suo libro”, come ricorda Rovegno, ma fu anche staffetta per la Resistenza. Era nata a Sonnino, in provincia di Latina, il 29 ottobre del 1921. Il padre era un noto classicista e per via del suo lavoro la famiglia si era trasferita presto a Recanati. Poi, quando Elena aveva dieci anni, ecco l’arrivo a Chiavari, dove il padre era diventato preside del liceo classico. Qui Elena era cresciuta e si era avvicinata alla scrittura. Qui si era anche sposata, il 21 febbraio 1959, con Gian Maria Mazzini, imprenditore e critico letterario con una parentela con Giuseppe Mazzini e, per più lontane ascendenze, anche con Giuseppe Garibaldi. Presenze significative nella vita di Elena. Come lo furono il padre e la nonna materna, Elena come lei, originaria di Pescasseroli e amica intima della famiglia di Benedetto Croce.
Sin da giovanissima Elena si esercitò sui classici greci e latini, tradusse Sofocle, si formò sui miti antichi e sulle tragedie. E iniziò a scrivere. Celebre la storia del modo in cui concepì la raccolta di racconti ‘Morte di Adamo’, considerata il suo capolavoro. Se ne stava in salotto ascoltando musica ungherese quando improvvisamente si fece silenzio ed emersero le prime parole del libro: “Quando venne il suo giorno, dopo novecentotrenta anni di vita, Adamo tornò alla terra”. Prese carta e penna per iniziare a scrivere e poi mostrò a suo padre il risultato. Il commento di suo padre Francesco fu: “Povera figlia mia”.
Da allora non si fermerà più scrivendo non solo poesie – la prima appare su ‘L’Illustrazione italiana’ – ma anche romanzi, opere teatrali e un’opera storica, la biografia del capo partigiano Aldo Gastaldi. Lo conosce durante la guerra quando, sfollata a Bertigaro sull’Appennino ligure in seguito al bombardamento di Chiavari, partecipa come staffetta alla Resistenza.
Una gran parte delle opere di Elena si ispira proprio alla Resistenza. Lo fa in chiave storica nei suoi romanzi, specie nella trilogia ‘Uomo e Superuomo’ che include ‘Come un fiume come un sogno’, ‘Una valigia di cuoio nero’ e ‘Fanuel Nuti’. Ma è nelle poesie che i temi assumono valenza esistenziale e universale. Come nelle liriche di ‘Piccola Italia’. Come nelle struggenti ‘Stanze per Rinaldo Simonetti “Cucciolo”’ che ricordano un bambino fucilato.
Negli anni Cinquanta è l’autrice di punta di Garzanti insieme a Pasolini (che vorrebbe trarre un film da un suo libro ma a cui risponderà di no, come farà con Visconti). Per l’editore milanese pubblica a breve distanza le liriche ‘I galli notturni’ nel 1952, l’opera teatrale ‘Ippolito’ nel 1954, i racconti ‘Morte di Adamo’ nel 1956 e le poesie ‘Alzati Orfeo’ nel 1958.
Ma il successo dura poco. Elena resta marginale, non aderisce alle avaguardie letterarie di moda, rifiuta tanto l’ermetismo quanto gli sperimentalismi seguenti. Va controcorrente scegliendo una poetica radicata nella fede religiosa e nella lezione stilistica dei classici greci e latini, dei poeti orientali, di Foscolo e Leopardi. Non frequenta neanche i salotti letterari. Tranne il suo, in cui accoglie volentieri chi voglia conoscerla e le numerose scolaresche che vanno a trovarla fino ai suoi ultimi giorni. Nonostante i premi letterari e benché venga tradotta in molte lingue, scivola nell’oblio. Quando muore nel 2014, dopo lunga malattia, in pochi se ne ricordano. Ha continuato a pubblicarla solo un piccolo editore di Recco, Le Mani, che nel 2007 ha fatto uscire l’opera omnia poetica. Meriterebbe il giusto e doveroso omaggio. E dieci anni sono un tempo abbastanza sufficiente.