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di ANTONIO JUNIOR LUCHINI *
Era maggio 2023 – poco più di un anno fa – quando il Governatore della Florida, Ron DeSantis, lanciava la sua campagna presidenziale su X, piattaforma social di Elon Musk. Una scelta dettata anche dalla vistosa assenza sulla medesima piattaforma dell’uomo che DeSantis ha sempre, vanamente, tentato di rimpiazzare: l’ex-Presidente Donald J. Trump.
Il collegamento streaming di DeSantis fu subito colpito da imbarazzanti problemi di connessione e glitch grafiche, quasi un presagio del continuo sentore di inadeguatezza e impreparazione che avrebbe permeato la campagna del Governatore del Sunshine State. Eppure, DeSantis sembrava avere tutte le carte in regola per prendere le redini di un ipotetico ‘Trumpismo senza Trump’. Durante le midterms del 2022 era stato rieletto con un ampio margine nel suo ‘feudo’ floridiano nonostante i risultati sottotono di tanti suoi colleghi Repubblicani e, sfruttando le beghe economiche e legali di Trump, si era posizionato nel vuoto lasciato dal tycoon.
DeSantis aveva posto particolare enfasi sul conservatorismo culturale, che considerava l’anima del movimento ‘MAGA’ legato all’ex-Presidente. La Florida divenne rapidamente teatro della forsennata ‘lotta alla cultura woke’ portata avanti dal suo Governatore-crociato, dedito a bandire i libri con contenuti LGBTQ+ dalle scuole e a inasprire la legislazione sull’aborto, arrivando anche a scagliarsi contro il colosso Disney, una delle tante ‘woke corporation’ intente a pervertire la gioventù americana. DeSantis si è circondato di attivisti ‘anti-woke’ come Chris Rufo e personalità legate al mondo alt-right come l’autore conservatore Nate Hochman, licenziato in corso d’opera a causa di supposte simpatie neonaziste. Un lavoro imponente, volto a solidificare le credenziali ‘estreme’ del Governatore.
Una volta iniziata la campagna per le primarie, lo scontro con la realtà e, soprattutto, con un Trump quasi completamente ‘resuscitato’ a livello politico è stato devastante per DeSantis. Le attenzioni dei media e la narrativa che lo vedeva come ‘restauratore’ del partito sono rapidamente svanite, crollando sotto la pressione ‘memetica’ degli attacchi di Trump, che nei suoi affollati comizi gli aveva già affibbiato una serie di nomignoli: ‘Ron DeSanctimonious’, o anche ‘Tiny Ron’, piccolo Ron, un riferimento alla supposta abitudine del Governatore di adoperare stivali con il tacchetto per aumentare artificialmente la sua altezza.
Un’immagine insicura, confermata anche dalle poco fortunate interviste di DeSantis, giudicato poco carismatico e impacciato dagli stessi media che ne avevano celebrato la repentina ascesa a contendente numero 1 per la nomination Repubblicana. Una volta uscito dalla Florida, dove la sua immagine di leader maximo era curata tramite conferenze stampa curate e pre-stabilite nei minimi dettagli, DeSantis si era rivelato privo della tenacia e dell’abilità dialettica che in genere ci si aspetta da un candidato alle presidenziali.
In caduta libera nei sondaggi, DeSantis aveva iniziato a compiere dei veri e propri stunt mediatici alquanto discutibili, nella speranza di tenere testa al temuto ritorno di Trump sulla scena politica. Tra questi spicca un dibattito televisivo tenuto su FOX News con Gavin Newsom, governatore Democratico della California e mediato dal giornalista conservatore Sean Hannity. Forte del ‘vantaggio’ casalingo, DeSantis intendeva il dibattito come un’occasione per mostrare i suoi pregi come Governatore della Florida e contrastarli alla gestione dem della California, attaccandone i disservizi e le inefficienze di un ‘grande stato blu’. Il dibattito tuttavia non è andato come sperato, complice l’inaspettata verve di Newsom che è più volte riuscito a rinfacciare a DeSantis il suo trasformismo politico: in un momento particolarmente acceso del dibattito, Newsom ha ricordato la gestione ‘schizofrenica’ dei lockdown per Covid da parte del suo epigono floridiano, in partenza favorevole a larghe chiusure, ma forzato in seguito da Trump a porre rapidamente fine alle misure di contenimento.
Il caucus in Iowa è stato l’atto finale della sfortunata campagna DeSantis, finito dietro Trump con un distacco abissale di 30 punti, poco più in avanti di Nikki Haley, l’ex Governatrice del South Carolina che ha invece incentrato la sua campagna sulla parte più moderata dell’elettorato Repubblicano. Dopo il ritiro ufficiale dalle primarie e l’endorsement quasi obbligato a Trump, le sorti future di DeSantis appaiono ambigue: non potrà candidarsi alle prossime elezioni governatoriali, a cui ambiscono i colleghi di partito Marco Rubio e Tim Scott, dimostratisi ben più fedeli a Trump. Quest’ultimo ha annunciato in pompa magna di aver sospeso i nomignoli umilianti adoperati contro DeSantis perché ‘il vero avversario è Joe Biden’.
(* ricercatore in relazioni internazionali presso l’Università di Tartu
e collaboratore del blog Jefferson – Lettere sull’America)