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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Sempre più monomarca e sempre meno di tradizione: la metamorfosi degli esercizi commerciali nei piccoli e grandi centri

Manuela Carena di Federmoda: “C’è un peggioramento enorme e costante della situazione e dietro a tutto questo c’è il dramma di tante persone che perdono il posto di lavoro”
Il centro storico di Chiavari con la Cittadella e il Comune in primo piano
Il centro storico di Chiavari con la Cittadella e il Comune in primo piano
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di ALBERTO BRUZZONE

Sempre più negozi monomarca e di catene, sempre più supermercati e sempre meno botteghe storiche e di tradizione. È la trasformazione del tessuto commerciale, secondo un percorso iniziato una ventina di anni fa e in costante e inesorabile evoluzione, nonostante i numerosi e ripetuti allarmi lanciati dai commercianti e dalle piccole imprese familiari. Che si tratti del grosso centro come del medio o del piccolo, poco cambia.

Milano Roma valgono quanto GenovaVenezia e Firenze, che a loro volta valgono tanto quanto Chiavari, SanremoRapallo e moltissime altre città. Sempre più negozi monomarca e sempre meno imprese singole e indipendenti: dall’abbigliamento all’ottica, dalle librerie alle profumerie, dalle scarpe agli accessori. È quanto hanno messo in luce negli ultimi due numeri di ‘Piazza Levante’ il nostro editore Antonio Gozzi e uno dei nostri più assidui contributori, Giorgio ‘Getto’ Viarengo.

E oggi su questo stesso tema ritorna anche Manuela Carena, presidente della sezione genovese (e quindi anche del Tigullio) di Federmoda Ascom: “I monomarca sono ormai una tendenza ultraconsolidata. Nei centri delle città le cosiddette vie dello shopping sono ormai tutte uguali. Verona vale Torino, che vale Genova come molte altre. Anche nel carruggio di Chiavari è in corso lo stesso processo, c’è un peggioramento enorme e costante della situazione e dietro a tutto questo c’è il dramma di tante persone che perdono il posto di lavoro e di tante famiglie costrette a chiudere la loro attività”.

Secondo Manuela Carena “adesso, rispetto a qualche anno fa, c’è un cambio di coscienza nelle abitudini all’acquisto. Si sta tornando al piccolo, ma il fatto è che ormai tutto il tessuto commerciale è cambiato, è diventato più impersonale, oltre che tutto omologato”. E, invece, “nell’epoca dei colossi online e dei colossi della grande distribuzione, nell’epoca dei centri commerciali e dei favori resi ai grandi a discapito degli esercizi di vicinato, bisogna recuperare più consapevolezza nello slow shopping. Abbiamo visto durante la pandemia quanto i negozi di quartiere siano una ricchezza per i territori, non ce lo possiamo dimenticare. Soprattutto, non se ne possono dimenticare le civiche amministrazioni, perché è vero che il problema è generalizzato in tutta Italia e in città di ogni dimensione, ma è altrettanto vero che si possono adottare scelte politiche ben precise in grado di tutelare un certo tipo di commercio e di difenderlo dagli assalti delle catene”.

La presidente di Federmoda, che su questi temi si appassiona (e si accalora) moltissimo, sostiene che “è facile parlare di libera concorrenza, quando le catene sono favorite dall’avere gli spazi nei centri commerciali con centinaia di parcheggi. Chi continua a fare più fatica sono i piccoli”. E porta il problema degli affitti: “Sono diventati ormai insostenibili per singole imprese senza nessuno alle spalle. Ecco perché in tanti centri, compreso il carruggio di Chiavari, ce la fanno solamente i monomarca a restare in piedi o ad aprire. Ma vanno adottate misure in questo senso, è esattamente qui che deve sentirsi la mano della pubblica amministrazione. Non è vero che la politica non può farci nulla”.

Bergamo, “il sindaco Giorgio Gori ha proposto l’equo canone non solo per le abitazioni private, ma anche per gli affitti commerciali. È già una buona misura che bisognerebbe estendere a livello nazionale e noi come Federmoda ci daremo da fare in questo senso. E poi, ci sono almeno altri due elementi sui quali portare il ragionamento. Sono i servizi pubblici e i parcheggi a cintura. Senza gli uni né gli altri si sarà sempre più invogliati ad andare a comprare nei centri commerciali, dove ci sono migliori condizioni di favore. Per questo non ha senso parlare di concorrenza, perché non è una battaglia ad armi pari”.

I commercianti “devono dare segnali, farsi venire idee, dimostrare di saper affrontare i cambiamenti. Questi sono tutti impegni che noi siamo tenuti a prenderci. Ma ci si venga incontro sugli affitti, sui servizi, sui parcheggi. Tre elementi. E allora poi ci mettiamo a fare concorrenza, a quel punto possiamo giocare la partita con le stesse armi di tutti gli altri”. E lì chi veramente sa cosa significa commercio viene fuori. Quello che nessuno potrà mai togliere alle botteghe di vicinato e ai negozi di tradizione: l’esperienza e la competenza. 

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