di MICHELE SCANDROGLIO *
Premessa necessaria al ragionamento che sto per fare è rivolgere una preghiera per gli israeliani trucidati dai terroristi di Hamas la notte del 7 ottobre, ribadendo che Israele ha il diritto sacrosanto di esistere, non solo di sopravvivere. Non dimenticando altresì che l’estremismo islamista, stando bene attenti a non confonderlo con il mondo arabo tout-court, nutre una feroce aggressività non solo contro Israele, ma contro l’occidente, e non solo: le fazioni del terrorismo islamico jihadista da Al-Quaeda a Boko Haram sono attive in ogni parte del globo, dall’Africa all’Indonesia. E sono una minaccia per migliaia di innocenti civili che nulla hanno a che spartire con Israele e l’Occidente. Se volessimo elencare gli episodi di sangue degli ultimi 20 anni nel mondo saremmo costretti a leggere pagine e pagine di orrore. Uno per tutti l’11 settembre… le Torri Gemelle!
In questo complesso quadro internazionale si colloca l’attuale nuova e violenta azione di Hamas. E la ritorsione dello stato israeliano. Due azioni che in ogni caso nuocciono ad entrambi i popoli: da un lato la causa palestinese esce indebolita dal terrore di Hamas e dall’altra il sentiment filoisraeliano dell’Occidente è messo a dura prova dall’eccesso di reazione del governo di Tel Aviv.
Scrivo dopo un mese dai fatti di quel giorno perché mi sono accorto che di ora in ora, di settimana in settimana l’iniziale e potente solidarietà per Israele sta scemando e anzi ho la sensazione che stia emergendo un sentimento antisemita, anche verbalmente duro, in persone insospettabili. Proprio ieri ho sentito un signore esprimere questo concetto circa la “guerra” in Palestina: “Gli ebrei pare abbiano dimenticato cosa hanno gli hanno fatto i nazisti ed oggi si comportano come loro”.
Affermazione densa di pessimi auspici.
I civili sono vittime innocenti, lo erano gli ebrei trucidati da Hamas e lo sono i palestinesi che cadono sotto le bombe della stella di David; al di là delle leggi internazionali, della proporzionalità della risposta all’attentato, qui si è persa la “pietas”.
Questo processo infernale è conseguenza diretta della alleanza che governa Israele; il partito “di ultra destra” che condiziona le scelte del Governo Netanyahu e che ha acuito le tensioni già fortissime, attuando e sostenendo politiche espansive e annessioniste ha fatto da detonatore.
Un fatto nuovo senza precedenti nella democratica Israele. Che mai aveva avuto nel cuore del potere politico gli estremisti religiosi.
Non è un caso che anche molti israeliani nutrano un fortissimo dissenso per quest’ultimo governo a guida “Bibi”; le piazze di tutto il paese protestano e chiedono le dimissioni del premier. Occorre fermare questa guerra e ben fanno gli Usa a tentare di tenere la briglia corta a Netanyahu, ma occorre che si comprenda come l’intifada nasce, e come si sviluppa, non in ottica di parte, ma storicamente, nei fatti.
La presa di coscienza sta avvenendo, in questi giorni, molti hanno approfondito e ora, soprattutto i più giovani hanno maggiore contezza del perché, e della storia di quel lembo di terra conteso.
Non dimentichiamo la potenza delle immagini, che mettono a nudo la rappresaglia israeliana. Israele che non si preoccupa (pur tentando di operare interventi militari chirurgici) delle migliaia di vittime innocenti nella striscia sta facendo male alla causa israeliana. Il sentiment non è positivo, anzi sento echeggiare note di odio. Ciò che dobbiamo avere chiaro è che questo governo israeliano è il più a destra nella storia del paese; è formato dal Likud, dai partiti religiosi e dai Sionisti religiosi nazionalisti di Itamar ben Gvir, Bezalel Smotriche Yoav Maoz, i quali in cambio dell’appoggio al Likud (destra storica) hanno ottenuto concessioni politiche senza precedenti, tali da mettere Israele in condizioni di soggezione; questo governo ha aperto la via alla reazione popolare che legge nell’eccesso di difesa e nel non rispetto delle regole internazionali di ingaggio militare in caso di civili sul campo, una azione disumana e crudele.
Che questo governo abbia in sé la capacità di governare con humanitas la reazione che oggi appare una feroce vendetta contro i palestinesi, facendo sostanzialmente di ogni erba un fascio, non pare possibile.
Il proliferare di fotografie e news circa i bombardamenti sulla popolazione inacidiscono e rendono gran parte della pubblica opinione internazionale ostile ad Israele. Da qui a generare un rigurgito antisemita il passo è breve. Netanyahu bene farebbe a lasciare, e visto che è stato il premier più longevo, porta anche la responsabilità politica della débacle del mitico Mossad e dell’invincibile esercito di Moshe Dayan. Liberando il campo della sua leadership Bibi consentirebbe un governo di unità nazionale tra il Likud e Ha`Ávoda (partito del lavoro) che riporti indietro al 7 ottobre le lancette dell’orologio, e riprenda coraggiosamente il percorso che consenta alla Palestina ed Israele il diritto di coesistere come Arafat e Rabin hanno sancito nel ’93 con gli accordi di Oslo.
(* Imprenditore, console onorario della Bulgaria, già parlamentare della Repubblica)