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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Insegnare a un computer a fare il suo ‘dovere’: l’importanza del pensiero computazionale è sempre più avvertita. L’esperienza di Wylab

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(r.p.l.) Oggi un computer ci risolve parecchi problemi, ma per farlo è necessario che, prima, un essere umano quei problemi li abbia capiti e abbia poi pensato a come risolverli. Forse ce lo dimentichiamo ma i computer non pensano e non possono pensare, serve una persona che dica al computer cosa e come fare. Per capire esattamente cosa dire al computer non bastano capacità di programmazione, ma è necessaria un’altra abilità: il pensiero computazionale, ovvero la destrezza di trasformare un problema complesso in uno facilmente comprensibile (persino da un computer!).

I grandi cambiamenti tecnologici degli ultimi decenni hanno così imposto al mondo dell’istruzione la necessità di introdurre questa nuova competenza nei percorsi formativi. Andare a scuola per imparare a leggere, scrivere e far di conto non basta più.

Esistono tre diversi approcci all’integrazione di queste abilità nei percorsi formativi:

  • Come tema trasversale: i concetti fondamentali dell’informatica sono trattati in tutte le materie e la responsabilità dello sviluppo delle abilità è condiviso tra tutti gli insegnanti;
  • Come una materia distinta: i concetti fondamentali dell’informatica sono trattati all’interno di una materia a sé;
  • Come parte di altre materie: i concetti fondamentali dell’informatica sono integrati in altre discipline come la matematica.

Gli approcci pedagogici più virtuosi ed efficaci propongono agli studenti di lavorare su problemi di vita reale incoraggiandoli a creare dei prodotti (programmi, applicazioni, animazioni, videogiochi).

Numerosi paesi hanno intrapreso una riprogettazione dei curriculum scolastici abbracciando il pensiero computazionale come una mentalità essenziale per studenti e insegnanti dell’era digitale.

Un report realizzato dall’Istituto per le tecnologie didattiche del Cnr, in collaborazione con European Schoolnet e Università di Vilnius, ha evidenziato come 25 dei 29 paesi presi in esame abbiano già introdotto programmi per lo sviluppo del pensiero computazionale. L’Italia non è tra questi, ma tra i 4 che stanno elaborando politiche in questa direzione.

Se queste attività, nelle aule italiane, sono ancora poco diffuse, ci sono associazioni, soggetti privati e diversi libri di testo per iniziare ad abituare i più piccoli a relazionarsi con questa attitudine mentale.

Un esempio, anche sul nostro territorio, sono i corsi di robotica organizzati dall’incubatore di start up e hub tecnologico chiavarese Wylab.

Grazie ai docenti della Scuola di robotica – associazione no profit fondata nel 2000 da un gruppo di robotici e studiosi di scienze umane – bambini e ragazzi dai 6 agli 11 anni vengono coinvolti in diversi laboratori per promuovere l’apprendimento attivo, partecipativo ed esperienziale delle cosiddette discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).

Lo scopo è quello di riuscire a far divertire i ragazzi, avvicinandoli alle materie scientifico-tecnologiche e in generale al mondo dell’innovazione attraverso l’apprendimento di concetti generici sui robot, grazie allo stimolo pratico della programmazione e progettazione.

Per integrare percorsi di questi tipo nel sistema scolastico, lo studio del Cnr evidenzia la necessità di affrontare tre sfide principali: la formazione e il sostegno degli insegnanti, dare spazio adeguato nel curriculum allo sviluppo delle competenze e l’adozione di metodi di valutazione adeguati.

Il pensiero computazionale è più di una promettente o nuova tendenza: i ministeri dell’Istruzione di tutta Europa stanno rispondendo alla necessità di dare agli studenti una base scientifica per poter comprendere e partecipare a un mondo digitale in cui sarà sempre più importante utilizzare le nuove tecnologie in maniera creativa e non passiva.

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