di ALBERTO BRUZZONE
Il luogo è deputato alle sorprese e ai colpi di scena. Anche se la magia dello schermo acceso e delle tavole in legno che scricchiolano si è persa da ormai sei mesi. Era una fredda sera di fine 2017 quando, con l’anonima proiezione del film ‘Star Wars: gli ultimi jedi’, si chiusero gli eleganti battenti del Teatro Cantero di Chiavari.
Oggi, quella saracinesca in piazza Matteotti, nel cuore della città, è sempre più triste e piena di polvere. Una ferita aperta, nel cuore di moltissimi chiavaresi, orfani della loro sala, di uno dei loro principali punti di riferimento.
La mancanza si è sentita tutti i giorni di questo inizio 2018: in particolare nei week-end, quando ci si poteva andare a vedere un buon film in prima visione. Ma, soprattutto, durante il Festival della Parola che si è chiuso nei giorni scorsi. E dove il Cantero con la serranda chiusa è stato il grande convitato di pietra.
Gli organizzatori lo hanno sostituito con una tensostruttura collocata a ridosso della Cattedrale e sedie in plastica allineate l’una con l’altra. Soluzione d’emergenza, visto che a Chiavari non esiste una sala altrettanto capiente. Ma volete mettere le poltroncine rosse, la geometria dei palchetti, la maestosità del palcoscenico. Eppure tutto questo è ancora lontano dal tornare.
Anzi, probabilmente potrebbe non tornare mai sotto l’antica forma.
Nell’avvicendarsi dei fatti di cronaca cittadini, il Cantero ogni tanto finisce nel buio, ogni tanto torna a far capolino. Ma per adesso non ci sono novità. Si rincorrono voci, pettegolezzi, bufale. Nulla di ufficiale.
Il gestore Dallorso
Pier Enrico Dallorso, ultimo gestore della struttura e rappresentante della proprietà (le famiglie Chiarella-Dallorso e Devoto), lo ripete ormai come un mantra: “Serve ancora tempo, non ci sono sviluppi per il momento. La problematica principe è quella della compagine sociale. Per questo motivo è tutto bloccato. Una volta risolta, potremo vedere di far qualcosa. Ma quello è il punto di partenza”.
Il Cantero, in diverse percentuali, risulta in mano a svariate persone e una linea omogenea e unitaria non è stata ancora stabilita. La seconda fase, quando mai dovesse andare in porto il riassetto (e nessuno, a cominciare dal gestore, azzarda previsioni sui tempi), è quella d’intervenire su una realtà chiusa da otto mesi e con parecchi problemi già sulle spalle ben prima dell’ultimo sipario (i servizi igienici e l’impianto elettrico, ad esempio). Ma Dallorso è cautamente ottimista: “Esiste già una progettualità. Che prevede il mantenimento di teatro e cinema e l’aggiunta di un servizio di ristorazione. Le cucine verrebbero realizzate in una zona vicina ai bagni, mentre i piatti verrebbero serviti sui palchetti. E’ una soluzione, teatro+food, che ho visto a Broadway e mi è piaciuta molto. Anche perché permetterebbe di allargare il business”.
E’ su questo punto, il ristorante, che in città c’è stata la maggiore ‘fuga di notizie’. “Non mi stupisco – commenta Dallorso – ne ho sempre sentite di tutti i colori. Ma ribadisco che si tratterebbe di una aggiunta. Nessun cambio di destinazione d’uso. E non abbiamo alcuna intenzione di venir meno ai vincoli monumentali del Cantero. Nulla in sala, in platea o sui palchi verrà spostato. Semplicemente, si metterebbero dei tavolini le sere dedicate alla ristorazione. Nulla più”. L’intervento per le cucine, invece, sarebbe pienamente autorizzato, anche perché al Cantero era operativo un bar, quindi pure in questo caso non vi sarebbe alcuna modifica.
Le prospettive
Restano da capire, si diceva, tempi. E pure finanza. “E’ logico – dice Dallorso – che un intervento del genere comporta un notevole impegno. Ma quando c’è una progettualità avviata, poi le risorse si possono anche trovare”.
Due sono gli elementi in questo senso. Primo: la proprietà ha fatto domanda presso la Filse (la finanziaria della Regione Liguria) per un sostegno. Secondo: a Palazzo Bianco la richiesta è di ‘sospensione dell’attività’. Non è mai stata mutata in ‘cessazione’. Entrambe le informazioni vanno nella stessa direzione: la disponibilità a riaprire c’è. Ma, in questa situazione, si torna sempre all’antico. Non esiste alcuna possibilità di finanziamento pubblico.
E’ giusto ricordarlo: le sovvenzioni – statali, regionali e quand’anche comunali – possono arrivare solo quando i teatri sono di proprietà di enti pubblici. Inoltre, la stessa disciplina dell’Art Bonus, che consente ai privati di effettuare erogazioni liberali potendo godere di un credito d’imposta pari al 65% dell’importo donato, è possibile solo nei casi di patrimonio culturale pubblico. Ecco perché il Cantero, allo stato attuale, può andare avanti solo e soltanto con le sue forze. A meno di ‘rivoluzioni’ a livello societario, oltre che nei contenuti.
L’idea di trasformare il teatro chiavarese aggiungendo la ristorazione è coraggiosa. E rientra nella ricerca di un nuovo modello di business necessario, visto che quello vecchio fatto di teatro più cinema si è rivelato ormai infruttuoso e non al passo con i tempi: troppo alta la concorrenza, troppo pochi i biglietti staccati, troppo perdurante la crisi dello spettacolo dal vivo, troppi i nuovi modelli di fruizione dei film. Se a questo si aggiunge un’offerta culturale non sempre eccellente e spesso piuttosto modesta, si capiscono in parte i perché della chiusura. Ma quella saracinesca abbassata e un immobile che costa e non rende è troppo anche per gli stessi proprietari.
Il sindaco Di Capua
Dal Comune rimane immutato l’impegno di qualche mese fa. Lo conferma il sindaco Marco Di Capua: “Noi siamo pronti con quattrocentomila euro, lo abbiamo sempre detto. Qualora cambiasse il modello gestionale e subentrasse una fondazione, potremmo intervenire. E, come noi, anche altri comuni vicini. Il problema è che non riusciamo bene a capire che intenzioni abbia la proprietà. Ci dispiace come amministratori e mi dispiace come chiavarese. Vedere il Cantero chiuso è per me una ferita aperta. La vivo come una sconfitta, anche se ho la coscienza a posto, perché le abbiamo tentate tutte e siamo stati disponibili al massimo delle nostre possibilità”.
A Palazzo Bianco, in effetti, non si può davvero imputare nulla. La mano tesa c’è sempre stata. Una delle poche cose che accomunano Levaggi e Di Capua, nel segno della continuità. “Perché è giusto salvare il Cantero – prosegue il sindaco – ma il problema è il modo. Io comunque mi impegno: sinché sarò sindaco non permetterò mai che questa sala faccia la fine del Teatro Margherita a Genova. Su questo voglio essere chiaro”.
Già ai tempi dell’amministrazione Levaggi, con le prime avvisaglie di crisi, s’era affacciata la prospettiva di creare una fondazione apposita, che potesse occuparsi della gestione diretta della sala. E’ in questo schema, come ha ricordato l’attuale primo cittadino, che sarebbe potuto confluire anche un finanziamento da parte di Palazzo Bianco. Di Capua, da parte sua, ha ricevuto la proprietà, ha visionato i bilanci (lui è del mestiere in quanto commercialista), ha proposto soluzioni.
La mobilitazione
Lo stesso impegno ce l’hanno messo personaggi della cultura e dello spettacolo, cittadini e non: hanno organizzato una raccolta di firme per sensibilizzare la città sul tema, hanno curato un convegno, hanno creato l’organizzazione degli ‘Amici del Teatro Cantero’. Tra i firmatari ci sono Ivano Fossati, Dori Ghezzi, Fernanda Contri, Lorenzo Caselli, Adriano Lagostena (direttore generale del Galliera), Prete Rinaldo Rocca, Giampaolo Roggero (presidente Ascom), Enrico Bertozzi (Scuola del fumetto), Francesco Bruzzo (presidente della Società Economica), Andrea Sanguineti (sindacalista della Cisl), Giorgio Viarengo (cultore di storia locale).
Ma non basta. Perché un contributo d’esperienza si è offerto di darlo anche Pina Rando, storica direttrice del Teatro dell’Archivolto di Sampierdarena, da anni residente a Chiavari: nel suo curriculum c’è la riapertura di un teatro, il Modena, la sua lunga gestione e, da ultimo, la fusione tra Archivolto e Stabile, che ha garantito il salvataggio di venti posti di lavoro.
Ultimo, ma non certo per importanza, l’impegno degli imprenditori. Il presidente del gruppo Duferco, Antonio Gozzi, si è sempre detto disponibile: “Faremo la nostra parte per salvare il Cantero. Non vogliamo né possiamo farlo da soli, ma non sarà difficile trovare imprenditori disposti ad aiutare un simbolo di Chiavari e del Tigullio. Non si possono spendere soldi pubblici su una struttura di proprietà privata. Ma la mano pubblica dovrà sostenere la futura gestione del teatro, che dovrà essere affidata a chi oggi investirà per salvarlo”.
L’ipotesi della fondazione, insomma. Ed ecco così tracciate le due strade: da una parte l’imprenditoria privata (la proprietà) con la sala allargata a ristorante; dall’altra il ‘salvataggio’ attraverso la cordata fatta di sostegno pubblico e imprenditori. Ma che comporta, per l’attuale proprietà del Cantero, la scelta di cedere il bene.
Ed è probabilmente questo il punto nodale. Mai superato fino ad ora.
Pier Enrico Dallorso è stato il primo a suonare il campanello d’allarme, ma delle tante ipotesi non se n’è mai fatto nulla.
La richiesta presentata alla Filse lascia però intendere che la proprietà sia orientata a non afferrare nessuna delle mani tese finora. L’idea di abbandonare la gestione, evidentemente, non è gradita a tutti i proprietari. Così si tocca sempre lo stesso tasto: più avanti, c’è tempo, per ora nulla, bisogna pazientare.
Palazzo Bianco, Soprintendenza, Amici del Cantero, impenditori stanno alla finestra. E, con loro, tutta la città. Che continua a chiedersi come andrà a finire. E a guardare, ogni giorno più sconsolata, quella saracinesca abbassata.
Sempre più scura e piena di polvere.