Se si colloca nel 1214 il primo grande conflitto tra monarchie nazionali (francese e inglese) che anticipa in qualche modo la guerra dei 100 anni iniziata nel 1337 tra Filippo Augusto re di Francia e il re inglese Giovanni Senza Terra, si può dire che l’Europa e le sue nazioni sono state perennemente in guerra tra loro per più di settecento anni consecutivi.
Centinaia di milioni di morti, distruzioni, carestie, deportazioni hanno caratterizzato secoli e secoli di storia europea fino all’immane disastro della seconda guerra mondiale, figlia dei nazionalismi, del fascismo e del nazismo che culminò con la mostruosità della Shoah.
Contro questa storia di guerre, di morti e di lutti, culminati nella seconda guerra mondiale, e in reazione ai nazionalismi e alle tendenze reazionarie e fasciste che l’avevano provocata, nel secondo dopoguerra nacque l’idea di Europa.
Questa idea si è sviluppata negli ultimi 70 anni con una serie di tappe e di atti importanti: prima venne la Comunità del Carbone e dell’Acciaio (CECA), nel 1951, poi nel 1957 il Trattato di Roma per la nascita del Mercato Comune Europeo (MEC), l’allargamento degli Stati membri dai 6 fondatori ai 27 attuali che continua dal 1973, poi nel 1979 la prima elezione del Parlamento Europeo, il trattato di Maastricht con la nascita dell’Unione Europea nel 1993, la nascita dell’euro nel 2002.
La cosa più straordinaria di questo periodo è il confronto con i 700 anni precedenti: gli ultimi 70 anni passano senza guerre e senza lutti, se si fa eccezione per la tragedia jugoslava.
Ci si può lamentare di molte cose che non hanno funzionato, specie nell’ultimo periodo, e che vanno corrette e riformate pena la fine dell’esperienza europea, ma non si può disconoscere l’enorme verità della conquista della pace, ottenuta perché, grazie all’Europa, i nazionalismi e le tendenze reazionarie che li hanno sempre sostenuti si erano sopiti fino a (quasi) scomparire nella costruzione della casa comune.
I problemi grossi iniziano con la grande crisi del 2007 partita dagli Stati Uniti. Sono gli anni in cui la Germania di Angela Merkel, all’apice del suo potere ed influenza, chiede a tutti i Paesi europei di adottare politiche rigorose di austerità.
La crisi greca e l’atteggiamento duro della Germania, che mette Atene con le spalle al muro costringendola a un parziale default seguito da due prestiti internazionali concessi a condizioni gravosissime, provoca in quel paese la perdita di fatto di una parte della sovranità nazionale, con l’intervento della Trojka (Fondo Monetario, BCE e Commissione Europea) che riduce alla miseria gran parte della popolazione.
Solo molti anni più tardi Merkel riconoscerà gli errori fatti nella gestione della crisi greca.
Nonostante l’autocritica della Cancelliera, l’Europa sotto la guida tedesca diventa la ‘grande tutrice’ di molti Stati, come l’Italia, accolti nell’euro ma considerati poco affidabili e implicitamente incapaci di autoamministrarsi e di autoregolarsi.
Il problema è che questa supremazia di indirizzo tedesco, supportata dall’appoggio di molti paesi del Nord, dall’Olanda alla Finlandia all’Austria, segna un progressivo distacco delle politiche della Commissione dalle indicazioni del Parlamento Europeo.
Un indirizzo di rigida austerità il cui simbolo diventa il patto di bilancio, meglio conosciuto come ‘fiscal compact’, non condiviso da moltissimi paesi europei e fondamentalmente imposto al di fuori di qualsiasi regola democratica. La mozione con la quale il Parlamento Europeo si esprime a larga maggioranza contro il ‘fiscal compact’ rimane lettera morta.
In pratica le regole dell’austerità che incideranno sulla vita di milioni di europei, specie delle fasce più deboli colpite duramente dai venti della globalizzazione, vengono attuate al di fuori di qualsiasi processo decisionale democratico.
Sarà proprio questa forzatura, insieme a un crescente malessere sociale diffuso non soltanto ai ceti popolari ma anche ai ceti medi, che diffonderà il senso di avversione all’Europa e all’euro sul quale i vari movimenti sovranisti costruiranno le loro fortune.
La demagogia e il populismo propagandistico di questi movimenti, dalla Lega di Salvini in Italia al RN di Marine Le Pen in Francia, ad Alternative fur Deutschland in Germania, al Partito della Libertà in Austria, ai Veri Finlandesi in Finlandia, ai danesi di DF, al PW in Olanda, al Vlaams Belang in Belgio, al KNP in Polonia e a tanti altri movimenti politici di destra definiti ‘sovranisti riluttanti’, o sovranisti veri ma per ora aderenti al PPE (come Orban in Ungheria) hanno dilagato in Europa negli ultimi anni.
Facendo leva sulla paura dell’immigrazione e sul profondo disagio sociale diffuso in Europa questi movimenti sovranisti, privi di un programma comune e con enormi contraddizioni al loro interno (tedeschi, austriaci, olandesi e finlandesi ad esempio sono durissimi sul rispetto delle regole del ‘fiscal compact’) sperano di ribaltare gli equilibri della politica europea per fare non si sa bene cosa.
Passata la kermesse elettorale, se il fronte sovranista dovesse avere effettivamente la meglio, il timore è che si scatenino nuovamente egoismi nazionalistici ingovernabili e forieri non solo del collasso dell’idea europea, ma soprattutto di nuove contrapposizioni e conflitti tra gli stati del continente.
La vicenda jugoslava è un memento fortissimo. L’esasperazione delle varie identità della Federazione (serba, croata, bosniaca, slovena, montenegrina, kossovara e macedone) e l’ideologia nazionalista hanno provocato nel cuore dell’Europa e alle porte di casa nostra un’immane tragedia, fatta di scontro i tra gruppi etnici e religiosi, eccidi, pulizie etniche e deportazioni.
I signori del male hanno avuto la meglio per molto tempo, e ristabilita la pace le tensioni sono lungi dall’essere completamente sopite.
Quando votate domenica ricordatevi della tragedia jugoslava e non date fiducia ai nazionalismi risorgenti.
L’Europa va certamente migliorata e cambiata, ma non con un ritorno al passato.