Lo scorso 9 luglio, a Roma, è morto lo scrittore, regista e fotografo chiavarese Guido Lombardi. ‘Piazza Levante’ si unisce al dolore della moglie e compagna di lavoro, Anna Lajolo, e lo ricorda attraverso uno scritto di uno dei suoi amici più cari, lo scrittore e traduttore Massimo Ortelio.
di MASSIMO ORTELIO *
Un giovane che sulle ali di una passione travolgente lascia la sua piccola città per una città vera, dove provare, almeno, ad avverare il suo sogno. Guido Lombardi, discendente di un garibaldino, era quel giovane. La città era Roma, in quegli anni fra le capitali del cinema mondiale.
Io lo conobbi molto tempo dopo, quando produceva documentari per la Rai, e fu grazie a lui che scoprii la Val Graveglia, una terra che allora non se lo sognava nemmeno di poter essere mèta turistica. Guido ci portava a rievocare lo spirito della miniera e mi fece scoprire posti incantevoli, Nascio, Cassagna…
Poi si andava tutti a mangiare in trattoria. Adorava i nostri monti, il verde tendaggio che cinge il nostro golfo. Aveva girato il mondo, non da turista, ma da viaggiatore, se non da esploratore, aveva perfino ri-scoperto un’isola dimenticata dalla storia con la S maiuscola. Con quale entusiasmo ce ne parlava. Ma Guido sapeva che la bellezza è ovunque. “Basta saperla cogliere” diceva. “Ogni pietra ha qualcosa da raccontare. Basta saperla ascoltare”. Da vero artista, aveva occhio per la luce, aveva orecchio per ogni voce. E uno sguardo dolce: la mitezza come regola di vita. Quante cose mi ha insegnato.
Ad accomunarci era, soprattutto, l’amore per la scrittura. Perché Guido ha sempre scritto. Scriveva con stile, ed è questo a fare di uno che scrive uno “scrittore”. Sapeva dosare aggettivi e avverbi, come ingredienti di una ricetta antica. Sempre sobria ed elegante e costruita con maestria, la prosa poetica di Guido Lombardi era capace di evocare uomini, luoghi e cose, nominandoli, che è poi la qualità sovrana dei narratori. Per me rimane uno dei grandi scrittori di Liguria, un Biamonti del Levante. Una sera, durante una delle nostre ultime chiacchierate al telefono, mi disse una cosa che non voglio dimenticare. “Massimo, la realtà è di per sé una storia, come quelle dei romanzi” mi disse con la pacatezza che neppure la malattia aveva potuto incrinare. “L’unica differenza è che è una storia che non ha inizio e non ha fine, ne siamo tutti protagonisti o comparse”.
E ci accomunava l’amore per il Tigullio. Non credo che nessuno abbia saputo raccontare come lui, l’incanto, la malìa di questa terra. Me ne parlava in tono accorato nelle nostre telefonate, da quando il male lo aveva fermato a Roma. Me ne parlava con la severità che nasce dall’affetto. Il vizio del campanilismo, l’incapacità di fare le cose insieme. E il provincialismo…
Certo, Guido aveva cantato la provincia in una delle sue serie di documentari più fortunata, ma come regno della biodiversità umana, come terreno di coltura della genialità, vivaio delle arti, dove le donne e gli uomini resistono strenuamente all’omologazione.
Un suo volume di qualche anno fa, la raccolta di foto ‘Ritratti chiavaresi’ (Edizioni Internòs, 2017) rappresenta bene l’uomo che è stato Guido: la sua curiosità per le persone, la capacità di capire e parlare con tutti, il besagnino e l’oste, l’intellettuale e l’impiegato. Ricordo la mattina di sole quando c’incontrammo a Chiavari, in piazza Mazzini. “Ti faccio una foto” mi disse e mi inquadrò senz’altro con lo smartphone. La passione di raccontare l’uomo e il mondo con l’immagine e la parola, non l’ha mai abbandonato.
Mi ha dato tanto e mi mancherà infinitamente, quest’uomo sensibile, colto e sagace. Anna ha perduto un compagno affezionato e premuroso, Chiavari uno dei suoi figli migliori di sempre. È stato un grande onore per me, averlo come amico.
(* scrittore e traduttore di opere letterarie)