di ALBERTO BRUZZONE
C’è bisogno di capire la pesca per salvare i mari. C’è bisogno di capire che i danni compiuti sulla terra potranno avere conseguenze sull’acqua, e viceversa. È con questo focus che, la scorsa settimana, si è svolta a Genova la decima edizione di Slow Fish, l’ormai tradizionale rassegna che nel capoluogo ligure ha riscosso sempre più consensi. È stata la prima uscita di questa kermesse dopo l’emergenza sanitaria e, anche per questo, è stato messo a punto un programma ‘diffuso’, che ha interessato quattro tra le principali piazze cittadine (Caricamento, Matteotti, De Ferrari e della Vittoria), mentre per quanto riguarda i contenuti, la novità più interessante è stata il percorso interattivo denominato ‘Fish’n’Tips’ e realizzato da Unione Europea, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, proprio allo scopo di promuovere un consumo sostenibile del pesce.
Quali pesci vanno acquistati? Con quali informazioni bisogna accostarsi al mercato del pesce o presso un qualsiasi negozio? Quali sono le domande da rivolgere ai commercianti? Sono temi importanti, ben oltre i quattro giorni di Slow Fish, perché sono temi importanti per tutto l’anno. Attraverso pannelli informativi, il percorso di ‘Fish’n’Tips’ ha trasmesso notizie assolutamente preziose.
Non c’è pesce per tutti
Secondo le statistiche di Slow Fish, infatti, la domanda di pesce è aumentata in modo vertiginoso negli ultimi anni: i più richiesti e consumati sono tonno, salmone, merluzzo nordico, merluzzo dell’Alaska e gamberi. Parallelamente, il consumo medio pro capite è passato dai 9,9 chilogrammi all’anno del 1960 ai 14,4 chilogrammi del 1990 per arrivare ai 19,7 chilogrammi del 2013 e ai 20,3 chilogrammi del 2016, con una proiezione al 2030 che prevede il consumo a testa di 21,5 chilogrammi di pesce all’anno. Sono quantità che non ci si può permettere, per non turbare l’equilibrio dei mari, ed è anche per questo che l’attività formativa di Slow Fish è intensa e importantissima.
“È fondamentale – spiega una delle ricercatrici impegnate nel percorso di ‘Fish’n’Tips’ – che gli ecosistemi marini non collassino. Per questo ci affidiamo alla presenza dei pescatori di piccola scala, ovvero quelli che hanno una profonda conoscenza del mare e della fauna ittica, che sanno il ciclo di vita delle varie specie di pesce, sanno i metodi di pesca e le attrezzature più efficaci da usare per le varie specie e per le varie stagioni, sanno alternare il tempo della pesca a quello del riposo, per far sì che i pesci possano riprodursi”.
Il tema delicato dell’acquacoltura: quali pesci sì e quali no
Ma Slow Fish prende anche una posizione piuttosto netta contro il pesce d’allevamento, “perché non è la soluzione. Pesci, crostacei, bivalve e alghe da acquacoltura hanno superato le specie selvatiche catturate. Le tecniche stanno migliorando, ma la maggioranza dei sistemi intensivi continua ad avere conseguenze disastrose sull’ambiente e sulle comunità costiere”.
E questo della maricoltura è, da sempre, un argomento ‘sensibile’ per quanto riguarda Slow Fish. Il 43% dei prodotti ittici consumati nel mondo non è pescato, ma proviene da allevamenti. A livello mondiale, l’acquacoltura è il comparto delle produzioni animali in cui si registra la crescita più consistente. Inizialmente si trattava di attività artigianali, ma oggi alcuni rami del settore hanno tutte le caratteristiche di un’industria di punta.
Secondo l’associazione fondata e presieduta da Carlo Petrini, “dopo una prima fase che lasciava intravedere aspettative ottimistiche, il comparto sta però dimostrando chiaramente alcuni limiti: molte produzioni di acquacoltura sono infatti ancora ben lontane dall’essere sostenibili dal punto di vista ambientale”.
I principali pesci di acquacoltura, in Europa, sono raggruppati in tre settori: i pesci marini, i pesci di acqua dolce e i molluschi marini. Le principali specie allevate sono: salmone, spigola, orata, rombo, trota, cefalo, carpa, storione, ostrica, cozza, vongola verace, cui dobbiamo aggiungere quelle allevate fuori dall’Europa ma molto diffuse e richieste dal mercato, in particolare i gamberi tropicali e il pangasio.
Sulla base di questo, Slow Fish inquadra i pesci da evitare e quelli consigliati. “I pesci no: salmone, gamberi tropicali e pangasio”. Il primo perché “accumula sostanze nocive alla salute che sono presenti nell’acqua”; i secondi perché “costituiscono la causa principale della distruzione delle foreste di mangrovie”; il terzo perché “è allevato nel Mekong, che è uno dei fiumi più inquinati del pianeta e perché viene conservato con un additivo chimico, il tripolifosfato di sodio (E451), che è tra i più dannosi per la salute”.
Semaforo arancione, invece, per l’acquacoltura di trota, spigola o branzino, orata, storione e ostriche, che possono essere acquistate come specie d’allevamento a patto che siano rispettati tutti i rigidi protocolli previsti. E semaforo verde per cozze, vongole, carpa, cefalo e rombo chiodato.
Come comprare il pesce nei negozi o al mercato
La differenza, però, la fa sempre il consumatore, come spiega perfettamente Elisabetta Razzuoli: veterinaria di professione, lavora presso la sede genovese dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, della Liguria e della Valle d’Aosta, un organo che esiste dal 1913, ha il suo quartier generale a Torino e si occupa da sempre di tutela della salute del consumatore, salvaguardia della salute e del benessere degli animali, azione di controllo sulla sicurezza alimentare e sulla produzione di mangimi.
“Quando si va a comprare il pesce – afferma Elisabetta Razzuoli – anzitutto bisogna distinguere dal tipo di pesce: fresco, surgelato o trasformato. In questo ultimo caso, consiglio di leggere con estrema attenzione l’etichetta, per capire dove il pesce è stato pescato, se è entrato in contatto con allergeni, se ne contiene. Quanto al pesce fresco, è sicuramente quello più sicuro: ma è sempre bene accertarsi che sia effettivamente fresco e che, ad esempio, non sia stato decongelato. È un’informazione essenziale, anche per sapere come va consumato”.
Secondo la veterinaria dell’Istituto Zooprofilattico, il cui direttore generale è Angelo Ferrari, “il pesce è al momento uno degli alimenti più controllati e, sempre nel caso del pesce fresco, uno dei più sicuri e con meno possibilità di essere contaminato. Non di meno, i nostri controlli sono quotidiani, specie per quanto riguarda il parassita Anisakis: il laboratorio è attivo e supporta sia le varie Asl che l’attività dei Nas. Non ci sono stati grossi allarmi legati ai pesci, negli ultimi anni, ma non va mai abbassata la guardia”.
L’attività sulla fauna ittica è continua
Le ricerche degli allergeni sono iniziate “molto prima rispetto alle normative imposte dall’Unione Europea, poi negli ultimi tempi si sono intensificate e, quindi, anche le statistiche sono diventate più corpose. In questo ambito, va distinto tra gli allergeni che sono inseriti nella normativa e quelli che non sono inseriti, ma che possono avere un’incidenza a livello individuale”. Se si è allergici o meno al pesce, insomma, è un percorso da compiere individualmente, tramite appositi controlli.
Il compito dell’Istituto Zooprofilattico, invece, è vigilare su tutta la filiera. “Le analisi vengono effettuate a Torino – prosegue Elisabetta Razzuoli – mentre a Genova ci si concentra sulla frutta a guscio, sul latte e sulla soia. Ma facciamo anche ricerca di metalli pesanti nei pesci e ricerca di patogeni come la salmonella e la listeria. Quanto alle microplastiche, è un fenomeno di cui si sta ancora discutendo ma per il quale ci stiamo attrezzando, perché la richiesta di compiere analisi di questo tipo, ovvero accertare la presenza di microplastiche nei pesci, sta aumentando notevolmente”.
Il consumo consapevole passa da una vasta e impegnativa campagna di comunicazione. Che, comunque, deve sempre restare equilibrata e intellettualmente onesta.