Proponiamo, in questo e nel prossimo numero di ‘Piazza Levante’, il resoconto di un’escursione storica e naturalistica che gli studiosi Giorgio ‘Getto’ Viarengo e Claudia Vaccarezza hanno compiuto nei giorni scorsi lungo la piana dell’Entella. La prima puntata è dedicata al racconto di Viarengo.
di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Pomeriggio caldo, il sole cala lento verso la collina di Ri, noi scendiamo dalla scala del Fico dal ponte della Maddalena, ora siamo sotto l’arco e può iniziare la nostra esplorazione. L’idea è quella di verificare, cartografie storiche alla mano, quanto è ancora rilevabile della secolare presenza dell’uomo in questo straordinario paesaggio disegnato dal corso del fiume, modellato e modificato secondo le esigenze di una secolare cultura contadina che ha presidiato questi luoghi.
Appena scesi sulla sponda, si possono rilevare le diverse fasi costruttive del ponte, realizzato dai Fieschi e terminato nel 1210 dopo la demolizione del più antico passaggio dedicato a Sant’Erasmo. Il transito e l’attraversamento del fiume garantiva un controllo sul territorio e i Conti di Lavagna ne affidarono la gestione ai frati di San Francesco da poco insediati nel convento di Chiavari.
La nostra esplorazione prosegue ripercorrendo le tredici arcate che ancora caratterizzano la costruzione. Nei secoli il fiume è stato costretto a scorrere in un percorso sempre più forzato, oggi il flusso dell’acqua utilizza solamente quattro arcate.
Il nostro cammino prosegue verso la sponda di Lavagna, dal punto centrale del ponte si scorge un airone cenerino, il suo aspetto è maestoso, si muove con attenzione in una vasta pozza d’acqua dove sono ben visibili banchi di muggini, più al centro alcuni gabbiani.
Lo sguardo scorre verso il mare, la natura in questa stagione colonizza tutti gli spazi, particolarmente cresciuti e verdeggianti i vasti canneti, qui vive da sempre l’Arundo donax Linnaeus: non si tratta solo di una generosa infestante, ma di una preziosa materia prima per gli ortolani.
Se rileggiamo gli atti notarili sin dal XIV secolo, troveremo citati molte volte i canneti nelle descrizioni d’affitto dei terreni: le canne erano indispensabili per le coltivazioni, per le vigne, per realizzare i ‘rastrelli’ e le ‘pasciune-e’ che contenevano gli argini, preziose per l’edilizia del passato, quando con gli intrecci di canna si realizzavano i porta-intonaci per le vele dei soffitti.
Appena scorgiamo un orto, ritroveremo le canne a sorreggere le tante colture che richiedono sostegni per la crescita, in un angolo del coltivo saranno ben accatastate a fascioni, conservate per le prossime messe a dimora.
Ora è il momento di soffermarci ed esplorare con attenzione i primi appezzamenti coltivati: siamo nei pressi della Rezza, ecco il ‘seggione’ napoleonico, nel suolo sono leggibili i tanti adattamenti per la gestione idraulica degli orti, all’estremo del campo coltivato quel che resta di una ‘sighêgna’, ora modificata con una più moderna pompa elettrica.
Questa traccia ci permette di segnare sulla carta quanto rilevato e verificare se nello sviluppo dell’intero territorio sono presenti altri impianti: la verifica è premiata, si può riconoscere un allineamento, una sistemazione razionale per attingere e distribuire l’acqua durante le diverse fasi di coltivazione nell’intera piana.
Scendendo verso sud, si può riconoscere un reticolo di passaggi, una viabilità interna all’intero complesso coltivato, salendo sul dosso del ‘seggione’ la visibilità corre più lontana e si distingue la complessità geometrica degli appezzamenti coltivati, una frammentazione che restituisce l’immagine delle diverse proprietà, appezzamenti specializzati in diverse colture.
Altra particolarità, di questa progettuale razionalizzazione dello spazio, è verificabile nel posizionamento delle vigne, in filari perimetrici, i salici, utilizzati per legacci, sono collocati in modo assiale ai coltivi, così gli alberi da frutto.
Poco più avanti un preciso rettangolo caratterizzato dal biondo grano, ai limiti estremi due ‘spaventapasseri’ custodiscono il prezioso prossimo raccolto, a testimoniare le più antiche tradizioni a protezione dei coltivi.
Le carte storiche, utilizzate per la nostra indagine, restituiscono una dimensione oggi fortemente ridotta in un impianto generale tuttora leggibile: riconosciamo gli insediamenti abitativi più antichi, con la tipica architettura spontanea e pluristratificata nei secoli, le viabilità e i tanti scolmatori idrici.
Ora il sole sta tramontando e la luce radente rende tutto più contrastato, vediamo la foce del fiume e l’abbraccio con il mare nella grande lingua di sabbia e ghiaia.
Come non valutare la ricchezza di queste due materie prime nel lungo cammino dell’antropizzazione dell’intero territorio, iniziato migliaia d’anni or sono col lento e continuo deposito alluvionale, un dono del fiume per i primi uomini che hanno abitato la nostra costa. Territorio nei secoli evoluto ed edificato con quella sabbia e ghiaia, divenuto comunità stabile grazie alla copiosa acqua disponibile, acqua amica e da rispettare, per chi viveva in questo territorio e per la terra da coltivare.
Ecco, ora è più comprensibile perché vogliamo esplorare questa pianura a fianco del fiume: per difenderla e continuare a farla vivere nella sua millenaria storia, con rispetto, per il futuro di quanti vivono in questo territorio. Le carte d’archivio ci raccontano di più di millecinquecento contadini insediati e operanti in Lavagna e altrettanti in Chiavari, uomini che lavoravano questa terra e la presidiavano, costruendo un paesaggio che è giunto sino ai nostri giorni come abbiamo verificato nell’esplorazione. Ne vale davvero la pena di sacrificare questo ambiente prezioso e offenderlo con un’opera insulsa? Questo fiume e questa terra sono cresciuti insieme, plasmati da uomini che qui vivevano e lavoravano: custodiamo questo paesaggio unico, impedendo un’opera incompatibile con questa storia ancora vivibile ai nostri giorni.
(* studioso di storia e di tradizioni locali)