di DANILO SANGUINETI
Intitolare la propria azienda alla Vanity si chiama parlare chiaro. Esprime una volontà e, allo stesso tempo, presenta una proposta a una clientela capace di distinguere tra le necessità insopprimibili e i piaceri differibili, prendendo le giuste distanze da che cosa sia fondamentale e cosa no in questa epoca di stravolgimenti.
Le due vetrine che fanno ala all’ampia strombatura che porta nell’ancora più ampia area suddivisa in isole dai banconi stile beat, spezzano la teoria di ingressi un po’ anonimi di via Montanaro Disma, il passaggio obbligato per chi transita dalla costa verso le valli che spalleggiano il Tigullio. Un punto fermo in una via di puro scorrimento. Anche così si assembla una fama consolidata a Carasco e dintorni.
Vanity dice qualcosa a chiunque sia entrato negli ‘anta’, che venga dalla montagna o che risalga dal litorale. Dalla nascita a oggi mai è venuto meno alla dichiarazione di intenti originaria. Da ‘Bianca’, l’insegna eponima, al passaggio alla lingua franca del mondo, chi regge le sorti del negozio di abbigliamento, calzature e merceria ha inteso solleticare l’amor proprio della clientela e allo stesso tempo porgere capi, oggetti da indossare, cose che valgono.
Vanity significa Valore e non c‘è contraddizione. L’equalizzatore è quello che Patrizia Cogozzo, anfitrione più che padrone del vapore, traduce con ampi gesti. Abbraccia con lo sguardo l’intera scaffaleria e sottolinea la ricchezza della scelta. “Siamo un negozio totale. Chi entra da noi trova il bottone e il giaccone, può scendere nel dettaglio come procedere a un cambio di look. Siamo in grado di rispondere a richieste minime o riempirvi di pacchettini. L’idea di essere onnicomprensivi, tutto quanto c’è da indossare e da coprire, ci accompagna da 60 anni”. Vanity è una arzilla sessantenne. Avrebbe dovuto tagliare la torta ad inizio di novembre, per evidenti motivi socio-sanitari ha rimandato a tempi migliori.
“Orgogliosamente trigenerazionali. Mia nonna, Bianca Casaretto, fu la fondatrice. Aprì un negozio di tessuti, con annessa la vendita di capi di abbigliamento e oggetti di merceria, al di sotto (per noi caraschini) del torrente Entella in via Comorga. L’idea di base era e rimase quella del ‘tutto ciò che vi serve noi lo abbiamo’”.
Nel periodo del grande balzo in avanti italiano, particolarmente impetuosa e diluita nel tempo fu la crescita del commercio al dettaglio. L’età dell’oro sfociò in un cambio di sede e di insegna: nel 1967 Bianca decide di varcare… l’Entella. Va verso il centro città, c’è apertura in via Montanaro Disma 35. Il nuovo nome arriva nel 1992. Con le nuove generazioni non si sfugge alla British Invasion.
“Mia nonna fu affiancata da mia mamma, Elena Sturla, di ritorno da un periodo di apprendistato presso un rinomato emporio chiavarese, il celebre Gavino”. Mamma Elena assorbì da lì il concetto di magazzino grande, diverso, per alcuni versi opposto a quello di grande magazzino. “A me ha insegnato che il cliente oltre che sempre ragione deve avere sempre soddisfazione. Chi veniva da noi trovava la risposta. Questa politica ha dato i frutti nel tempo, sono arrivate le crisi economiche, Vanity ha tenuto botta perché ha mantenuto uno standard di qualità senza sconfinare nella raffinatezza fine a se stessa”.
E si riaffaccia il senso di solidità, di piedi ben piantati nel terreno, a prescindere dalla complessità delle calzature indossate. “Oggi con mio fratello Giuseppino e con i nostri consorti, Enrico Romaggi e Federica Callegari, portiamo avanti il discorso”. Un colloquio lungo per Patrizia, da trent’anni dietro il banco. “In questi casi si usa dire che sono volati via in un attimo. E sarebbe una sonora bugia. L’insegna non si è spenta a prezzo di dure battaglie. Avanzavano da ogni parte: prima i centri commerciali, gli outlet, i negozi grandi firme, i cataloghi postali, infine le vendite online. Abbiamo resistito, mettendo in campo le qualità che da sempre ci appartengono”.
Ed anche quel po’, un bel po’, di testardaggine che è l’aspetto migliore del ligustico carattere così tanto discusso e spesso deriso. E poi i mesi del Covid, l’avversario meno atteso e per questo più insidioso. “Il lockdown durissimo, questi giorni quasi altrettanto duri. Essere in zona arancione significa poter vendere solamente alla gente del tuo comune. Per un negozio come il nostro, collettore di clienti che arrivano un po’ da ogni parte del Levante, è stata una botta sotto la cintura”.
Patrizia si blocca. Scatta la censura dell’orgoglio, di chi non piega la testa neppure di fronte al fato beffardo. Ed è una reticenza che le fa onore. “Mi sembra di fare un torto a chi in questi mesi ha sofferto per avvenimenti ben più gravi. Noi siamo ancora in piedi. Altri non sono stati così fortunati. Altri hanno dovuto fare i conti con perdite dolorosissime. Non voglio finire con una lamentazione, voglio mandare un messaggio positivo. Vanity è aperto ed è operativo al cento per cento”.
Vanity, niente Vanitas Vanitatum, solo un elogio alla vita presa con leggerezza. Non è superficialità, è non avere macigni sul cuore. Italo Calvino approverebbe.