di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Nei giorni scorsi, trovandomi in Fontanabuona per alcune commissioni, giunto all’altezza del Chiapparino ho pensato di fermarmi per verificare una curiosità. Sono tornato a cercare il vecchio opificio per la lavorazione dell’ardesia, uno dei tanti che nel tempo hanno conosciuto il disuso. Questo impianto era stato trasformato in un centro d’informazione culturale sulla pietra nera, la nostra ardesia.
Proprio in quest’ottica, il grande capannone aveva ospitato l’allestimento della necropoli dell’Età del Ferro rinvenuta a Chiavari in corso Millo. Un lavoro che mi aveva visto impegnato per mesi, con un primo riordino dei materiali litici conservati nei depositi, il trasporto dei corredi e il completamento della documentazione sia grafica che fotografica dell’intero patrimonio archeologico degli scavi Lamboglia.
Il professor Nino Lamboglia editò un primo rapporto di scavo sin dal 1960: una pubblicazione preziosa, con rilievi stratigrafici e con le primissime considerazioni sul grande deposito che lentamente affiorava. Scriveva nella prima pubblicazione il soprintendente Lamboglia: “L’anno 1959 segna una data memorabile nella conoscenza della protostoria ligure. In pieno centro della città di Chiavari, in una zona finora vergine, non sospetta di ritrovamenti e di stanziamenti anteriori al Medioevo, è venuta in luce, per un felice caso, la più ricca ed estesa necropoli della prima età del Ferro che finora si conosca nelle Riviere Liguri, ed anche la più antica. È stato possibile scavarla con assoluto rigore, rilevarne tutte le caratteristiche e ricuperarla per intero”.
Questa prima considerazione fu coronata da un lavoro di scavo archeologico che si protrasse per circa dieci anni, con un lavoro molto complesso, rilievi, fotografie, persino un’idea, modernissima, di riprese con pellicola cinematografica delle fasi dello scavo e del rinvenimento di una delle tombe. Al termine dello scavo, con puntuali pubblicazioni che aggiornavano l’intera operazione archeologica, erano state rinvenute centoventisei tombe a cassetta litica, il tipico manufatto atto a raccogliere il deposito con le ceneri del defunto.
Il materiale fu una prima volta depositato in un appartamento in via Vittorio Veneto, in un allestimento che permetteva di visionare i reperti e documentare il prezioso lavoro di scavo compiuto. Successivamente si mise mano ai lavori in Palazzo Rocca ed alla sistemazione del primo museo archeologico e all’esposizione di alcune tombe e reperti della necropoli di Chiavari.
Il tempo passava inesorabile, e i tanti progetti per ricollocare il grande ed unico patrimonio non vedevano realizzazione. Si giunge al 2004 con Genova Capitale Europea della Cultura, che ospitò un evento di grande pregio dal titolo altrettanto importante: “I Liguri: un antico popolo europeo tra Alpi e Mediterraneo”. L’evento prevedeva l’utilizzo dell’intero spazio della Commenda di Pré con l’allestimento di alcuni recinti funerari della necropoli di Chiavari. Il catalogo della mostra riportava diverse valutazioni sul significato culturale dell’esposizione del complesso chiavarese. Un passaggio colpiva non poco per l’importanza storica che sollevava: il professor De Marinis scriveva: “Chiavari rimane l’unica fonte importante per questo periodo”; la dottoressa Paltineri, che pubblica gli atti dell’intero deposito archeologico gli faceva eco: “La necropoli di Chiavari è un contesto indispensabile per lo studio della prima età del Ferro”. Insomma, per raccontare una traccia storica europea si raccontava di uno scavo archeologico di Chiavari!
La mostra ebbe un grande successo e si susseguirono diverse pubblicazioni che sempre valorizzavano il deposito archeologico chiavarese, ma tutto rimaneva rinchiuso nel museo di Villa Rocca, piccolo, stretto, ricavato nelle vecchie scuderie e incapace di rendere adeguatamente l’entità dell’impianto.
Ancora un lungo tratto di tempo e si giunse infine ad una prima risoluzione: la testimonianza degli uomini dell’Età del Ferro poteva rendere conto di un utilizzo molto precoce dell’ardesia, quella pietra grigia che così tanto lavoro aveva portato in Fontanabuona. Ciò poteva giustificare il riallestimento di parte del monumento presso il Chiapparino di Cicagna. Si trovarono i fondi necessari e si attivò il lavoro di rimontaggio delle tombe e del recinto nel grande capannone; negli spazi attigui si allestì un nuovo deposito di conservazione e altri momenti della ritualità dell’incinerazione.
Si giunse all’inaugurazione e il successo dell’operazione non mancò: in uno spazio finalmente adeguato si poteva apprezzare nella sua interezza la complessità di un momento culturale così importante. Quel cimitero rappresentava un momento attivo di una comunità vissuta a Chiavari circa duemila anni orsono. Purtroppo però il progetto del Chiapparino e della musealizzazione del paesaggio dell’ardesia non proseguì, ed andò a finire che si giunse allo smantellamento dell’intera esposizione.
Il mio viaggio della settimana scorsa ha riattivato una pagina chiusa della mia memoria, la curiosità di rivedere, dai vetri del magazzino, il deposito della necropoli che continua il suo lungo riposo, un sonno troppo prolungato. Non so quando ripasserò da queste parti, ma il mio pensiero per la necropoli degli “Antichi Liguri” rimane. Con una preoccupazione: non vorrei che pure il Chiapparino si trasformasse in un reperto archeologico.
(* storico e studioso di tradizioni locali)