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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Tutti gli uomini di Joe Biden: così hanno coperto la malattia dell’ex presidente e di fatto favorito la vittoria di Trump

Il dibattito ha avuto nuova linfa con la pubblicazione di un libro che è tornato dopo molti anni a scandalizzare Washington, “Original Sin”
La Casa Bianca torna a essere la residenza di Donald Trump
La Casa Bianca torna a essere la residenza di Donald Trump
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di MARCO ARVATI *

Qual è il ruolo del giornalismo, in un’epoca sempre più definita dalla polarizzazione? Per decenni negli Stati Uniti la risposta è stata inequivocabile: i giornalisti erano i “cani da guardia della democrazia”, col compito di scoprire i misfatti delle amministrazioni e informare i cittadini di come veniva gestito a Washington il potere che loro liberamente concedevano attraverso il processo elettorale. A partire dalla nascita di Fox News nel 1996, un canale televisivo di tendenza conservatrice, interessato a una strenua difesa della destra più che a una corretta informazione, il giornalismo americano ha iniziato a subire un ripensamento: c’era forse bisogno che i media tradizionali più progressisti lo diventassero sempre di più, per controbilanciare la potenza mediatica di Fox? E a quel punto, chi avrebbe fatto la guardia alla democrazia, se tutti sarebbero stati più interessati a difendere la propria parte rispetto a cercare la verità?

Un dibattito che si porta avanti da quasi trent’anni e non ha dato risposte univoche, ma che ha avuto nuova linfa con la pubblicazione di un libro che è tornato dopo molti anni a scandalizzare Washington, “Original Sin”, di Jake Tapper, giornalista di CNN, e Alex Thompson, di Axios. La tesi degli autori è che il peccato originale dell’amministrazione Biden sia stato quello di non aver fatto fede alla promessa di essere una presidenza ponte verso nuovi politici giovani, governando per un solo mandato: aver voluto a tutti i costi correre per la rielezione, nonostante un declino fisico e cognitivo sempre più evidente alle poche persone che avevano accesso quotidianamente al Presidente, avrebbe consegnato il Paese a Trump.

Tapper e Thompson, per costruire l’inchiesta, hanno intervistato più di 200 persone tra staffer, politici e grandi donatori e il quadro che ne hanno tratto è inquietante. Soprattutto nell’ultimo anno, Biden è stato sempre più tutelato dai suoi consiglieri più fidati – definiti nel libro “il Politburo” – e dalla famiglia. I suoi contatti con l’esterno sono stati sempre più limitati, la sua agenda ridotta al lumicino e i suoi discorsi resi sempre più brevi. Inoltre, la verità di quello che succedeva sul campo è stata sistematicamente nascosta a Biden. In uno dei momenti più interessanti del libro, si nota che i sondaggisti pagati dalla Casa Bianca, che evidenziavano costantemente come il Presidente avesse scarsissime probabilità di sconfiggere Donald Trump, non potessero incontrare Biden, ma dovevano mandare le loro proiezioni a Mike Donilon, membro del Politburo, che poi indorava la pillola per il Presidente. Nel frattempo, facevano il giro del mondo immagini sempre più brutali dell’invecchiamento di Biden e si rimbalzavano messaggi tra i donatori che avevano avuto la possibilità di vederlo alle cene di finanziamento ed erano scioccati. 

Il libro è costruito come un thriller, con la capacità di tenere incollato in attesa di nuove rivelazioni: la parte più riuscita è probabilmente l’ultima, in cui si fa un analisi giorno per giorno di come il domino è crollato repentinamente dopo il dibattito in cui Biden è apparso troppo anziano per avere speranze di sconfiggere un Trump in rampa di lancio. Quello che emerge è un dramma shakespeariano, un Presidente in balia degli eventi, convinto delle sue possibilità ma sempre più stanco: emblematico è il confronto in Delaware con il leader democratico Chuck Schumer, che affranto gli dice che non dovrebbe correre e che ha perso l’appoggio di tutto il Senato, di cui Biden è stato uno dei principali esponenti per trent’anni.

All’uscita del libro, due voci distinte si sono alzate: la prima è di chi voleva evidenziare che questo libro è necessario, la seconda di chi lo ritiene un’operazione commerciale contro un esponente politico recentemente ammalatosi di tumore, che toglie il focus dei cittadini dai diritti che vengono sempre più compressi dall’amministrazione Trump. Analizzare come è terminata la presidenza Biden, però, non vuol dire abdicare al ruolo di raccontare ogni giorno come la nuova amministrazione repubblicana mette in pericolo milioni di persone negli Stati Uniti. Anzi, proprio il fatto che due giornalisti lontani dalla galassia conservatrice abbiano seguito per mesi quest’inchiesta dà ancora più lustro all’idea che il giornalismo non deve ragionare secondo logiche partitiche: come ha scritto Carl Bernstein in Tutti gli uomini del Presidente, “il lavoro di reportage è raccontare la miglior versione raggiungibile della verità”.

(* collaboratore di Jefferson, scrive anche per Harvard Business Review Italia)

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