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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Trump è il primo presidente statunitense condannato per un crimine

La giuria di New York ha emesso il verdetto di colpevolezza per tutti e 34 i reati menzionati nei capi d’accusa
Donald Trump correrà nuovamente per le presidenziali di novembre
Donald Trump correrà nuovamente per le presidenziali di novembre
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Prosegue il nostro rapporto di collaborazione con la piattaforma ‘Jefferson – Lettere sull’America’, fondata e guidata dal giornalista Matteo Muzio. Il portale di ‘Jefferson’, con tutti i suoi articoli e le varie sezioni, è visitabile all’indirizzo https://www.letteretj.it, da dove ci si può anche iscrivere alla newsletter.

di NICCOLÒ MARTELLI *

Giovedì 30 maggio, poco dopo le cinque del pomeriggio, Donald Trump è stato condannato da una giuria di Manhattan per la falsificazione di documenti relativi al pagamento nei confronti della pornoattrice Stormy Daniels. L’evento incriminato risale al 2006 e aveva già rischiato di compromettere l’esito delle elezioni presidenziali del 2016: l’allora avvocato tuttofare di Trump, Michael Cohen, si sarebbe accordato con i legali di Daniels per un pagamento di 130mila dollari in cambio del silenzio dell’attrice sull’incontro avuto con l’ex presidente dieci anni prima. I capi di accusa mossi contro Trump sono 34 e si dividono in tre categorie: fatture per servizi legali, assegni versati per servizi legali e registrazioni contabili per spese legali. Trump è stato ritenuto colpevole per ciascuno di questi reati. Il fatto è storico perché non si tratta soltanto del primo presidente condannato per aver commesso un crimine, ma anche perché è il primo leader di uno dei partiti principali a essere condannato nel mezzo della campagna elettorale. 

Biden ha affermato che il caso del suo predecessore conferma il principio americano secondo cui nessuno è al di sopra della legge. Dal canto suo, Trump sostiene invece che l’intera questione sia stata una manovra ordita dallo stesso Biden: «Non sapevo di essere così potente» ha controbattuto lui sorridendo. Robert F. Kennedy Jr si unisce invece all’ipotesi secondo cui tutto questo sia opera del partito democratico e dichiara questa strategia “profondamente non democratica”: «I democratici hanno paura di perdere alle elezioni, perciò scelgono di andare contro Trump nelle aule di tribunale». Se da una parte Kennedy Jr ha finora cercato di guadagnare voti a discapito del partito democratico, in controcorrente a ogni altro membro della sua illustre famiglia, adesso potrebbe avere preso le parti di Trump in questa vicenda per accaparrarsi una fetta dell’elettorato repubblicano.

All’interno del partito repubblicano c’è chi vive la questione senza commentarla: è il caso di Nikki Haley, che negli ultimi giorni non ha lasciato dichiarazioni in merito alla condanna del suo avversario alle primarie, forse per non alimentare la pressione mediatica che la vede protagonista per avere scritto “finiscili” su una granata israeliana pochi giorni fa. Lo stesso fa Mike Pence, impegnato ad attaccare Biden sul mancato supporto incondizionato a Israele. Gli altri candidati alle primarie repubblicane esprimono invece grande solidarietà al loro leader: Vivek Ramaswamy passa una consistente parte delle proprie giornate su X a condividere articoli pro Trump e a scrivere post in suo favore, mentre Ron DeSantis appoggia a sua volta l’ex presidente parlando addirittura di “procuratori di sinistra”.

Che conseguenze potrebbe dunque avere questo verdetto sulle elezioni del prossimo novembre? Secondo un sondaggio condotto da CBS News YouGov poll il 56% degli intervistati ritiene che il processo si sia svolto legittimamente: è interessante notare come siano molto più numerosi gli elettori democratici che sostengono che il processo sia stato equo (96%) rispetto agli elettori repubblicani che ritengono che invece non lo sia stato (86%). Da un punto di vista più concreto e rivolto ai risultati effettivi, si può dire che il crimine di cui Trump è stato ritenuto colpevole ha per ora avuto effetti minimi sulla corsa alla Casa Bianca: prima di giovedì scorso i dati vedevano Trump avanti di un punto percentuale circa, mentre adesso Biden condurrebbe la sfida con due punti percentuali in più. Gli analisti sostengono che un cambiamento permanente di due o tre punti percentuali verso Biden potrebbe essere decisivo in vista di novembre ma per il momento si tratta solo di un’ipotesi, dato che mancano ancora cinque mesi al voto. Quello che è probabile è che i candidati repubblicani e i loro sostenitori più accesi alimenteranno la visione per cui questo processo sia stato ingiusto e contro la legge, in perfetta correlazione con il famoso stop the steal del 2020, quando Trump e i suoi sostenitori gridavano al broglio elettorale.  

Trump e il proprio avvocato, Todd Blanche, hanno dichiarato che faranno appello in quello che potrebbe essere un processo che terminerà dopo la campagna stessa. La data per la sentenza è fissata per l’11 luglio, a quattro giorni dalla nomina ufficiale di Trump come leader dei repubblicani alla convention nazionale di Milwaukee. Nel frattempo, Trump si dimostra tranquillo nelle sue dichiarazioni, affermando che gli americani difficilmente accetteranno il verdetto di colpevolezza nei suoi confronti. Trump dovrà quindi ricorrere a una sua grande specialità, se davvero vorrà sedersi nuovamente dietro la scrivania dello Studio Ovale: spostare l’attenzione verso le tematiche che più interessano il suo elettorato più estremo, quali l’immigrazione, i rapporti con Putin, che ovviamente sostiene Trump nell’attaccare l’esito del processo Daniels, o la criminalità senza precedenti nelle città a trazione democratica, dichiarazione prontamente smentita da un altro grande nemico di Trump: i fatti.

(* Bachelor’s Degree in Business Economics at Università degli Studi di Firenze. Master’s Degree at Milan Università Cattolica del Sacro Cuore. Fellowship at the Robert F. Kennedy Human Rights in New York City – Collaboratore di ‘Jefferson – Lettere sull’America’)

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