di MICHELE SCANDROGLIO *
Il Golfo del Tigullio è una delle meraviglie Italiane che ha fatto innamorare ogni europeo sin dal 1700 e poi decennio dopo decennio, attratto visitatori da ogni parte del mondo, poeti e magnati, star e vip ma soprattutto amanti di questa costa bellissima che da Portofino a Riva Trigoso racchiude angoli tra mare e colline più suggestivi d’Italia.
Una terra che si divide tra la parte più orientale del golfo, quella che da Chiavari, un po’ il capoluogo dell’immaginata provincia del Tigullio, arriva a Riva Trigoso. Una terra che prende spazio e si corrobora nell’entroterra laborioso, è terra sufficientemente piana, affatto scoscesa, che ha dato modo di sviluppare imprese e attività economiche, cantieri grandi e piccoli, cotonifici, industrie meccaniche e mobilifici, miniere e lavorazioni d’ardesie nonché commerci di ogni tipo.
Insomma, un tessuto industriale articolato che, unito alla presenza del Tribunale, del Banco di Chiavari, del polo sanitario, della sede Vescovile e degli uffici amministrativi pubblici più rilevanti, ha dato la possibilità alle sue genti di creare anche una rete di supporto professionale all’impresa e al commercio. Connotandola così primieramente come territorio produttivo e commerciale e amministrativo. Ovviamente il turismo ha avuto un ruolo importante soprattutto dagli anni ’60 in poi. Ma diciamo che ha giocato una partita a sé.
Il Tigullio occidentale invece è la parte più turistica, quasi esclusivamente turistica di tutto il golfo. Senza entroterra, tutta sul mare. Qualche impresa nell’alimentare e poco altro. Ricca di ville sette/ottocentesche, una pluralità di alberghi, dalla pensione ai cinque stelle, una molteplicità di b&b, una teoria di ristoranti senza soluzione di continuità che si affacciano sulle passeggiate a mare, Zoagli, Rapallo, Santa Margherita e Portofino fanno tutt’uno con la stessa area che è stata più offesa dalla recente mareggiata di ottobre 2018. La burrasca, il vento forte da sud e onde di 13 metri hanno lasciato una ferita difficile da rimarginare, ma si era rialzata rimboccandosi le maniche e tenacemente aveva tirato dritto.
Trascorsa l’estate 2019 piuttosto fortunata nonostante i segni visibili delle intemperie, si era illusa di un ulteriore recupero, complice uno spettacolare inizio 2020 con un gennaio speciale, affollato e generoso. Poi il Coronavirus ha gelato tutto.
Le località non sono omogenee tra loro. Rapallo è la più popolosa, è vivace tutto l’anno, per la sua maggiore discontinuità sociale; città dei Trattati Internazionali, del Golf e del porto Carlo Riva, della Funivia, ma anche città dormitorio per chi lavora nei grandi alberghi e nelle attività connesse alle seconde case di tutto il territorio. Oggi Rapallo è quella che forse patisce maggiormente. Il suo gioiello, il porto privato, non c’è più e non ci sono le sue barche grandi e piccole, né i suoi armatori, né i villeggianti annessi, le tantissime seconde case sono chiuse, chissà se e quando riapriranno, la famosa passeggiata rossa incompleta e azzoppata, la copertura del San Francesco un po’ acciaccata è congelata, sospesa, e non si sa cosa succederà. I turisti stranieri hanno disdetto. È palpabile la tensione dei ristoratori, albergatori, commercianti, balneari, attività nautiche, ristoratori, artigiani, il tessuto vivo è immobilizzato e preoccupato.
L’altra cittadina seconda per numero di abitanti è Santa Margherita, realtà con solide e antiche tradizioni marinare, oggi è elegante luogo di villeggiatura della Milano bene e non solo, con una connotazione sociale più omogenea. È salda nella certezza che la salute viene prima di ogni altra cosa, tant’è vero che i negozi che potevano rimanere aperti sono chiusi. I danni della mareggiata sono stati assorbiti e il lavoro per il ripristino del porto pubblico va avanti, nonostante il blocco di tutte le attività è stato autorizzato dalla Regione e dal Ministero. Nella cittadina si attende pazientemente il ritorno alla normalità. La più piccola ma la più universalmente nota, Portofino, la perla del Tigullio, è bellissima, non la si vedeva così deserta nemmeno in quelle uggiose indimenticabili giornate di novembre, ma il Borgo e il suo fascino sono intatti, tutto il mondo li conosce. Portofino ammalia comunque ed è pronta ad accogliere.
Zoagli con la passeggiata a mare distrutta senza prospettiva di interventi è in attesa di capire cosa accadrà, poche le persone che si vedono in giro, la sua peculiarità è la diffusione delle abitazioni arrampicate sulle colline con vista imperdibile sul mare. Una località a due facce attratta un po’ verso Chiavari e un po’ verso Rapallo, guarda tutta insieme l’Aurelia, che vede silenziosa, senza auto, senza rumori.
Queste quattro realtà locali hanno un comune denominatore, il turismo. Che è la vita. Qui come nel resto del Paese ci si interroga, si discute nelle conversazioni telefoniche, si guardano i tg e si fanno i conti con i dati sul contagio, quello in corso e quello temuto di ritorno. Sul domani, su come sarà, e quando si tornerà alla normalità. Con un occhio alla tv e uno fuori della finestra, incrociando quello di chi ti è accanto, così si trascinano le giornate senza un orizzonte.
Questo magnifico tratto di costa, uno dei più belli d’Italia, soffre per ora in silenzio. Le genti di questo angolo di paradiso sanno che dalla sua natura meravigliosa hanno tratto un benessere diffuso, ma oggi sarebbe bene si interrogassero se per caso non hanno ecceduto, chi più chi meno, nell’approfittarsene. Vero è che il Coronavirus non c’entra con la mareggiata, con le frane, con il mare inquinato, con la moria di alghe, con le alluvioni. Oppure sì?
La crisi ambientale è la madre della pandemia? Si! Oppure no? Sicuro non ne sono causa le diverse abitudini alimentari cinesi vecchie di millenni? Oppure sì? Certo il Tigullio tutto non è l’unico che sta interrogandosi, ma il Tigullio soprattutto, quello che guarda a ovest, deve tutto alla natura e forse non sarebbe cosa inutile se pensando al dopo Covid 19, perché un dopo virus dovrà pur esserci, utilizzasse questo tempo ‘costretto’, per una riflessione su un antico adagio che i Masai narrano da tempo immemorabile: “Non possediamo la terra che ci hanno lasciato i nostri padri, ma la custodiamo per i nostri figli”.
(* Imprenditore, console onorario della Bulgaria, già parlamentare della Repubblica)