di DANILO SANGUINETI
È giusto preoccuparsi di quanto c’è nella testa della gente, non è sbagliato dare un’occhiata anche a quanto c’è sopra perché un esterno-cranio in disordine a volte è emblematico, rivelatore di qualcosa che non funziona neppure dentro la corteccia cerebrale. Scherzi a parte il ruolo del parrucchiere negli ultimi anni ha avuto una rivalutazione simile a quello del cuoco o del sarto. Da artigiani ad artisti è un attimo.
Il mestiere si fa professione, il lavoro di routine trasformato in occasione per mettere in mostra l’estro. Da couturier a scultore di corpi, da cambusiere a pittore di pietanze, da barbiere a cesellatore che usa le forbici e il pettine, creatore ed inventore come e più dei signori del mestolo o dei sovrani del taglia e cuci. A Cavi di Lavagna, appartata come si addice alla bottega di un creatore, in via Brigata Partigiane 8 (sulla via principale del borgo vecchio) tiene banco il Giotto delle acconciature, Giovanni Spanò, che hair stylist non c’è nato, lo è diventato per indiscussa acclamazione.
Agli incontentabili diffidenti, sospettosi della ‘vox clientium’, è in grado di replicare con diplomi e certificati di grado superiore e livello internazionale. Incontestabile che abbia dimostrato di avere più talento e inventiva di chi discende da generazioni di tonsori. L’uomo che taglia corto, lungo e anche scalato, nel raccontarsi è fluente quanto un boccolo forgiato dal più solido bigodino.
“Non posso definirla una vocazione, posso semmai chiamarla un accidente fortunato. Doveva essere scritto da qualche parte perché a 13 anni con in testa diverse cose da realizzare in campo artistico entrati in una barberia a Santa Margherita Ligure. Mi fecero provare a fare alcuni tagli, mi piacque, decisi di andare a bottega da Efisio, allora, parlo di 40 anni fa, un nome di prestigio tra i parrucchieri del Tigullio. Fu lui il mio mentore, e mi incoraggiò dicendo che avevo stoffa e che dovevo farmi le ossa, anzi affilare forbice e rasoio, presso altri negozi, cercando di apprendere da tutti e di creare un mio stile”.
Un impegnato Giovanni erra per diversi saloni della zona, sulla costa come in Val Fontanabuona, e nel frattempo frequenta anche istituti che insegnano l’arte ‘del parrucco’. “A Genova e a Milano. Nel frattempo osservavo con attenzione non solo l’arte dei maestri, ma anche il loro modo di trattare con i clienti e lo stile dei loro negozi. Riflessioni che mi tornarono utilissime quando decisi che era giunta l’ora di mettermi in proprio, di iniziare una mia attività, aprire un negozio nel quale applicare le mie idee e proporre la mia interpretazione di diversi stili”.
All’ardimentoso coiffeur sono bastati setti anni seppure intensi. “Avevo appena compiuto i venti anni quando feci il gran passo. Cercai un locale e una località che si accordassero con quanto avevo in mente: niente di vistoso, in un posto che non fosse ‘di passaggio’, ossia che fosse cercato e non fosse trovato. Il cliente che incappava nel mio negozio non mi interessava, volevo che si rivolgesse a me, mi ‘scegliesse’, che avesse fiducia in quanto proponevo”.
Un inizio tranquillo, avendo mezzi e fondi limitati: “Il locale iniziale era sempre qui a Cavi. Lo spazio era quello che era, 20 metri quadrati. Cercammo di sfruttarlo al meglio: eravamo in 4 a lavorare nelle postazioni, a volte i tagli e gli interventi erano anche dei complicati balletti per non pestarci i piedi e toccarci di gomito…”. Una sfida che il signor Spanò e la sua equipe vincono brillantemente. La risposta del pubblico è ottima. Oltre al servizio viene lodato il modo con il quale lo stesso è proposto. “Il salone era arredato secondo il mio gusto. Anche se eravamo principalmente dei parrucchieri, e solo occasionalmente ci disimpegnavamo come barbieri, avevo ricreato l’atmosfera delle vecchie barberie, andando a recuperare anche un sedile-cavallino a dondolo che si usava nel secolo scorso per far stare buoni i bambini mentre si tagliava loro i capelli. Un arredo che mi ha portato tanta fortuna, tanto che l’ho voluto anche nel negozio nuovo”. Che era stato aperto poco più in là sempre a Cavi, in un locale più ampio. “È quello dove mi trovo ancora oggi, solo che vi ho aggiunto il vano adiacente, liberatosi solo una ventina di anni fa, in modo da poter avere un’area ampia, in grado di ospitare 24 postazioni dove possono operare anche persone contemporaneamente”. Che è poi la forza lavoro della quale dispone attualmente. “Diciamo sei collaboratori compreso mia moglie, e un settimo che viene chiamato quando c’è necessità”. Il che accade molto spesso perché ‘Mastro Spanò’ è più ricercato del suo collega di Siviglia. Lo cercano in tanti, ad una clientela fidelizzata si aggiungono di anno in anno altri ammaliati dall’inventiva delle sue acconciature.
Prima dell’avvento dei social era decisivo il passa-parola, il sentiment costantemente positivo delle sue clienti era una garanzia di proselitismo. “A dire il vero anche oggi che è imperativo sfruttare i nuovi media, io conto sempre molto sulle chiacchiere delle mie clienti. A 53 anni non mi sono adagiato sugli allori, anzi provo sempre a migliorarmi, conscio che se vuoi creare il bello non devi mai smettere di ricercarlo. Leggo, studio, soprattutto osservo”.
Giovanni Spanò è nato Figaro. È polivalente. Ha un po’ del factotum reso immortale dal trio Da Ponte-Mozart-Rossini, ed ha moltissimo del frastagliato protagonista della commedia di Beaumarchais, più artista che gestore di bottega, uno che sa di appartenere a un ceto emergente, e che nasconde una strutturale malinconia dietro un educato sorriso. Una mente affilata come le sue forbici, forse di più. “Se anche non fossi bruciato dal fuoco dell’ambizione (sorride nel dirlo, ndr) lo dovrei fare per stare al passo con una professione che in 40 anni si è radicalmente trasformata. Sarò ancora più chiaro: quando iniziai su 100 parrucchieri ce ne erano 90 scarsi, 5 bravi e 5 così così. Oggi su 100 ce ne sono 90 bravi, 5 scarsi e 5 così così”.
In più i guadagni si assottigliano. “Detesto fare il ‘piangina’ come dicono a Milano, certo i costi e le tasse nel tempo sono decollati e si riesce a stare aperti solo grazie al volume di affari che resta alto”. E slegato dalle dinamiche economiche della zona: “Il 60-70% delle donne che ci vengono a trovare non risiede in Liguria, le signore lombarde sono in maggioranza ma ho clienti che arrivano anche da altre regioni. E, metto le mani avanti, non si tratta di persone che arrivano nel Tigullio nella stagione balneare. Per me anzi l’estate è stagione a bassa intensità lavorativa”. Chi sceglie Giovanni sceglie un parrucchiere al quale affidarsi in ogni mese e per ogni occasione; si va a Cavi per passare qualche minuto come diverse ore in un ambiente ‘differente’ da ogni altro negozio di parrucchiere sulla piazza, che trova un professionista attento all’ambiente (notevole il suo impegno nel limitare l’uso di prodotti non riciclabili) e dotato di un buon gusto che si esplica anche nell’arredamento e alle pareti del suo Salon. E che è in grado di fornire a ‘ogni capriccio’ il riccio adatto.
La maniera nella quale ci proponiamo allo sguardo altrui dice molto di noi. Oscar Wilde lo aveva intuito: “Mai siamo così reticenti come quando diciamo Io e mai siamo così sinceri come quando indossiamo una maschera”. Roland Barthes lo ha decifrato. Il vocabolario elaborato nel suo ‘Sistema della moda’ svela come anche la capigliatura sia un segno che mandiamo al mondo. Dietro una sbarazzina frangetta o sotto un elaborato chignon c’è un messaggio: meglio che a redigerlo sia un calligrafo come Giovanni Spanò.